Condominio

Comunione da sciogliere ma solo se il bene si divide «comodamente»

di Selene Pascasi

Sì allo scioglimento in natura della comunione di un compendio immobiliare, solo se il bene può essere comodamente diviso in parti corrispondenti alle quote di diritto spettanti ai singoli comproprietari. Diversamente, andrà assegnato per intero – con addebito dell'eccedenza – a chi possegga la quota maggiore e lo abbia espressamente richiesto o, in difetto, dovrà procedersi mediante vendita giudiziale. Lo puntualizza il Tribunale di Frosinone, con sentenza n. 301 del 29 marzo 2018 (magistrato onorario G. Piro). Accende la questione, l'atto di citazione promosso da un uomo intenzionato ad ottenere la divisione di un appartamento con annesso locale seminterrato/cantina e magazzino.
Egli, in particolare, proponeva l'attribuzione ad ogni comproprietario della parte corrispondente alla propria quota ideale e – stante la non comoda separazione in natura delle quote, così come già accertato dalla consulenza tecnica d'ufficio nella procedura esecutiva in cui si collocava il credito azionato, peraltro privilegiato perché di lavoro – la messa in vendita dell'intero immobile, con assegnazione del ricavato, nei limiti della quota pignorata, fino a totale soddisfazione della pretesa. Ipotesi di divisione sostanzialmente accolta dai comproprietari, disponibili all'adozione di tutti i provvedimenti necessari. Ma il Tribunale frusinate, dichiarati i beni non comodamente divisibili, si attiva per la messa in vendita.
Ai sensi dell'articolo 1114 del Codice civile, ricorda, lo scioglimento della comunione di un compendio immobiliare deve essere effettuato in natura a condizione che possa essere comodamente diviso in parti corrispondenti alle quote di diritto spettanti ai singoli comproprietari. Di conseguenza, ove i beni non siano comodamente divisibili in natura, deve darsi luogo ad assegnazione per l'intero in favore di quello dei condividenti che abbia la quota maggiore con addebito dell'eccedenza e lo abbia espressamente richiesto ovvero, in difetto, mediante vendita giudiziale. Nel sostenerlo, il Tribunale – richiamando noti precedenti, tra cui la pronuncia di Cassazione n. 14577 del 21 agosto 2012 – ricorda come il bene si intenda non comodamente divisibile laddove (seppure il relativo frazionamento sia materialmente possibile sotto l'aspetto strutturale) non siano realizzabili «porzioni suscettibili di autonomo e libero godimento, non compromesso da servitù, pesi o limitazioni eccessive, e non richiedenti opere complesse o di notevole costo o, comunque, porzioni che, sotto l'aspetto economico - funzionale, risultino sensibilmente deprezzate in proporzione al valore dell'intero, tenuto conto dell'usuale destinazione e della pregressa utilizzazione del compendio» o se, come marcato da Cassazione n. 7961 del 21 maggio 2003, «sia eccessiva la misura dei conguagli occorrenti per colmare la differenza di valore tra le porzioni ottenibili da una divisione in natura».
Così, in tali evenienze, il rimedio processuale esperibile – avente carattere residuale e applicabile, ai sensi dell'articolo 720 del Codice civile e per effetto del rinvio contenuto nell'articolo 1116 del Codice civile, anche allo scioglimento della comunione non ereditaria – è proprio la vendita giudiziale degli immobili non divisibili o non comodamente divisibili. Soluzione, questa, cui ricorrere, scrive Cassazione n. 11641 del 13 maggio 2010, se nessuno dei condividenti possa o voglia avvalersi della facoltà di chiedere l'attribuzione dell'intero con addebito dell'eccedenza. In altri termini, la vendita giudiziale degli immobili indivisi, prosegue il giudice «costituisce la modalità sussidiaria di scioglimento della comunione, praticabile soltanto qualora concorrano i presupposti della non comoda divisibilità dei medesimi e del mancato esercizio, da parte dei comproprietari titolari della maggior quota, del diritto di richiedere l'assegnazione dell'intero».
Ecco che, nella vicenda, essendo emerso dall'esame degli atti e dei documenti allegati, nonché dall'espletata consulenza tecnica d'ufficio, che la divisione avrebbe comportato alti costi per l'esecuzione delle opere interne (demolizione e rifacimento dei tramezzi, degli impianti idrico, elettrico, termico e fognario), con perdita di funzionalità del bene, oltre alle spese tecniche per la richiesta della relativa autorizzazione all'ufficio tecnico comunale – requisito essenziale per la creazione di unità immobiliari – il giudice non poteva che optare per la vendita pro quota. Ciò, considerato che, a ben vedere, i beni componenti la massa dovevano dirsi indivisibili. In effetti, conclude il Tribunale, se è vero che l'articolo 720 del Codice civile contempla anche i casi in cui, secondo il numero e l'entità delle quote, si renda necessario procedere al frazionamento per la formazione delle correlative porzioni in natura, è pur vero che la comoda divisibilità va esclusa se il frazionamento comporti, come nella fattispecie, la perdita di caratteristiche funzionali del bene di primaria importanza. Non resta, allora, come deciso dalla sentenza del giudice laziale, che lo strumento della vendita giudiziale, anche alla luce del fatto che nessun condividente aveva chiesto l'assegnazione della massa non comodamente divisibile per l'intero. Non solo. È in tal modo che si assiste ad un reale bilanciarsi dell'interesse al perseguimento del risultato utile della procedura con quello alla conservazione del diritto di proprietà sul bene da parte dei soggetti coinvolti (loro malgrado) nelle vicende esecutive del debitore. Del resto, la domanda di attribuzione vale di per sé ad impedire che sia disposta la vendita del compendio non comodamente divisibile. Di qui, la decisione di disporre la vendita giudiziale e distribuire, poi, il ricavato tra i condividenti, in base alle rispettive quote di spettanza.

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