Condominio

Le spese urgenti fatte da alcuni condòmini non sono «arricchimento senza causa»

di Valeria Sibilio

Per determinare se il proprietario di un appartamento condominiale, che abbia sostenuto delle spese in proprio per effettuare lavori in condominio, abbia diritto o meno al rimborso delle spese, occorre stabilire cosa si possa considerare urgente e cosa, invece, no. Come ha fatto l'ordinanza della Cassazione 17027 del 2018 nell'esaminare un caso nel quale ha chiarito l'importanza dell'autorizzazione dell'amministratore o dell'assemblea nel diritto al rimborso. Al centro della vicenda, un fabbricato costituito da più unità immobiliari di proprietà di soggetti diversi, i proprietari dell'appartamento sito al primo piano e quelli proprietari degli appartamenti siti all'ultimo piano.
In queste ultime unità immobiliari, nel 2002, si erano verificati danni a causa del cattivo stato manutentivo della copertura. I proprietari si rivolgevano a un geometra affinché, previa convocazione degli altri proprietari, predisponesse progetto, computo metrico della copertura e presentasse le opportune richieste agli organi competenti. Tenuto conto della grave situazione in cui versava la copertura e degli ingenti disagi che le infiltrazioni provenienti dalla stessa arrecavano agli appartamenti ai piani superiori, gli altri proprietari decidevano di dare esecuzione agli interventi manutentivi, anticipando i costi relativi con riserva di ripetizione. Incaricata una impresa per la realizzazione dei lavori, il proprietario dell'appartamento all'ultimo piano, oltre alla quota di spettanza, anticipava le somme di competenza dei coniugi proprietari dell'unità immobiliare al primo piano, pari a complessivi euro 13.558,48.
Nel 2003 questi ultimi comparivano dinanzi al Tribunale di primo grado, convenuti dal proprietario dell'ultimo piano affinché fossero condannati a rimborsargli le spese di propria spettanza, pari ad euro 13.558,48, che egli stesso aveva anticipato per l'esecuzione dei lavori, in quanto erano tenuti a partecipare alle spese di sistemazione della copertura in proporzione ai millesimi di proprietà. I coniugi del primo piano, convenuti, si costituivano in giudizio, chiedendo la sospensione del giudizio di primo grado, risultando pendente, avanti il medesimo Tribunale, la causa avente a oggetto l'accertamento della proprietà esclusiva del sottotetto dell'edificio in capo ai condòmini dell’ultimo piano, con esclusione di qualsiasi diritto di comproprietà in capo ad essi, i quali, invece, rivendicavano a loro volta la proprietà esclusiva di detta parte di fabbricato.
Nel merito sostenevano che il proprietario dell'ultimo piano si era attivato autonomamente per svolgere i lavori di rifacimento della copertura. Assumevano inoltre che non si trattava di riparazioni urgenti e che, pertanto, la proposta doveva essere deliberata dall'assemblea di condominio. La mancata deliberazione di progetto e appalto da parte dell'assemblea condominiale e le concrete modalità con cui l'attore aveva preteso di condurre i lavori avevano precluso la possibilità di godere delle detrazioni d'imposta previste dalla legge per simili opere. La causa veniva istruita mediante perizia sull'immobile per accertare la natura, l'entità ed i costi delle opere eseguite presso la copertura dell'edificio, nonché i costi da porsi a carico dei singoli proprietari in base ai rispettivi millesimi. Il Tribunale rigettava le domande proposte dai proprietari dell'ultimo piano in quanto il CTU non aveva riconosciuto l'urgenza di lavori che avrebbero potuto essere autorizzati soltanto dall'amministratore e dall'assemblea. In considerazione della soccombenza, l'attore veniva condannato al pagamento delle spese della prima perizia, mentre poneva a carico dei coniugi le spese relative alla seconda CTU.
Contro tale sentenza, il proprietario dell'ultimo piano proponeva appello nel quale, reiterate le istanze istruttorie svolte in primo grado, chiedeva la riforma integrale della sentenza impugnata e che gli venisse riconosciuta la somma di euro 13.558,48 per la quota di spese da lui anticipata. I coniugi si costituivano in giudizio chiedendo la conferma della sentenza di primo grado e che fosse loro riconosciuta la somma di euro 6.101,32, pari ai crediti d'imposta ed alle detrazioni fiscali di cui i convenuti avrebbero goduto ove le spese fossero state pagate e deliberate dal condominio e, infine, di essere autorizzati ad operare la compensazione tra le reciproche ragioni creditorie. Il tutto con la rifusione delle spese di lite. La Corte di secondo grado respingeva il primo motivo di appello, ma, in accoglimento del secondo, condannava i coniugi alla corresponsione dell'importo di euro 12.204,64 in favore del ricorrente, pari alla somma richiesta detratta del 10% a titolo di iva agevolata, oltre ad interessi legali.
I coniugi del primo piano ricorrevano in Cassazione, mentre il precedentemente ricorrente si costituiva con controricorso, nel quale, oltre a resistere alle censure proposte, proponeva a sua volta ricorso incidentale nel quale lamentava la violazione dell'art. 1134 c.c., nella parte in cui la Corte territoriale, ritenendo non urgenti i lavori, avrebbe escluso che i lavori fossero necessari per restituire alla cosa comune la sua piena ed effettiva funzionalità. Motivo non fondato, in quanto la Corte di appello ha ritenuto non provato che le opere dovessero essere eseguite senza ritardo e senza avvertire tempestivamente l'amministratore o gli altri condomini. Non fondato anche il secondo motivo, nel quale l'attore deduceva violazione degli artt. 1110 c.c. e 132 c.p.c. nella parte in cui la Corte territoriale non avrebbe motivato in punto di applicabilità dell'art. 1110 c.c., che era stato da lui invocato sempre ai fini del rimborso delle spese e che presuppone soltanto la trascuranza degli altri partecipanti. Le norme in materia di condominio prevalgono su quelle in materia di comunione dei beni, la cui applicabilità rimane pertanto esclusa.
Fondato, invece, è il primo motivo del ricorso principale, nel quale i coniugi ricorrenti lamentavano di essere stati erroneamente condannati, dalla Corte territoriale, al rimborso delle spese, relativamente alla parte ricadente su di loro a titolo di arricchimento senza causa. Il tutto in violazione dell'art. 1134, non essendo risultato il carattere dell'urgenza dei lavori, nonché in violazione dell'art. 2042 c.c. sia perché, se la somma non era ripetibile, accogliere la domanda di arricchimento senza causa significava una duplicazione dell'azione, sia perché l'azione di ingiustificato arricchimento ha carattere sussidiario. Motivo fondato, in quanto il carattere di sussidiarietà dell'azione di arricchimento senza causa postula che l'attore non abbia a disposizione altra azione per farsi indennizzare dal pregiudizio subito. Ciò non si è verificato nel caso di specie, nel quale il condòmino che abbia affrontato spese urgenti, al fine di ottenere il rimborso delle spese sostenute, può avvalersi del rimedio di cui all'art. 1134 c.c. E dall'intervenuto rigetto della domanda di rimborso, non può evincersi l'inesperibilità di un'azione specifica e, quindi, l'esperibilità da parte del propietario dell'azione sussidiaria di arricchimento senza causa. Quest'ultima non può rappresentare uno strumento per aggirare divieti di rimborsi o di indennizzi posti dalla legge, mentre, nel caso in questione, opinando diversamente, si finirebbe con l'ammettere l'iniziativa non autorizzata del singolo condòmino nell'amministrazione del Condominio.
La Corte ha, perciò, rigettato il ricorso incidentale ed accolto quello principale, cassando, senza rinvio, la sentenza e dichiarando integralmente compensate tra le parti le spese processuali, relative ai giudizi di merito e di legittimità.

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