Condominio

Il divieto agli asili nel regolamento si estende ai «micro-nido»

di Valeria Sibilio


Gli asili nido condominiali sono aumentati in modo esponenziale, grazie soprattutto all'assenza di una normativa che imponga limitazioni severe. L'avvio di un asilo nido in condominio è complesso, legato alla lettura del regolamento contrattuale. L’ordinanza 16384 del 2018 della Cassazione (relatore Antonio Scarpa) ha trattato proprio un caso legato a questa materia . Un condominio aveva citato in Tribunale un condòmino che aveva avviato, nell'unità immobiliare di sua proprietà sita al piano rialzato dell'edificio condominiale, una attività di asilo di infanzia, chiedendone la cessazione perché contrastante con la clausola n. 4 del regolamento di condominio contrattuale. Il Tribunale accoglieva la domanda e, successivamente, la Corte d'Appello respingeva il ricorso del condòmino in quanto escludeva che esistesse una differenza tra le attività di “asilo nido” e di “micro-nido”, quale è appunto quella che il ricorrente assumeva di svolgere nel proprio immobile, tenuto conto che nel millenovecento settantuno, epoca di redazione del regolamento, non esistevano le diverse figure delle scuole d'infanzia, degli asili nido e dei micro-nidi, nonché delle finalità della clausola n. 4, certamente intesa ad evitare che nelle unità di proprietà esclusiva venga esercitata un'attività di custodia ed assistenza ad infanti.
Nel successivo ricorso in Cassazione, il ricorrente lamentava l'errore della Corte d'Appello in quanto quest'ultima, ritenendo operante il divieto regolamentare di destinazione delle unità immobiliari ad “asili di infanzia” pure per i “micro-nidi”, non avrebbe tenuto conto che questi ultimi non arrecano i “pericoli di disturbo” propri degli asili. Il ricorrente richiamava anche i principi di cui agli artt. 3, 29, 31 e 37 Costituzione, nonché l'art. 23 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, evidenziando il ruolo svolto dai cosiddetti “micro-nidi”, istituiti dalla legge 28 dicembre 2001, n. 448, e poi regolati da apposite delibere della Giunta Regionale Lombardia.
Per gli ermellini, l'interpretazione delle clausole di un regolamento condominiale contrattuale, contenenti il divieto di destinare gli immobili a determinati usi, è sindacabile in sede di legittimità solo per violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale. Cosa non rivelata nel caso in questione. In particolare, l'interpretazione di una clausola del regolamento di condominio, contenente il divieto di destinare gli appartamenti, tra l'altro ad asili non risulta né contrastante con il significato lessicale delle espressioni adoperate nel testo negoziale, né confliggente con l'intenzione comune dei condomini ricostruita dai giudici del merito, né contraria a logica o incongrua, rimanendo sottratta al sindacato di legittimità l'interpretazione degli atti di autonomia privata quando il ricorrente si limiti a lamentare che quella prescelta nella sentenza impugnata non sia l'unica possibile, né la migliore in astratto.
La Cassazione ha, perciò, rigettato il ricorso, condannando il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, liquidate in complessivi euro 2.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©