Condominio

Il progettista Bim è full-digital

di Paola Pierotti

La digitalizzazione è il motore del cambiamento del mercato della progettazione. Ne danno prova i professionisti che da qualche anno hanno intercettato interessanti opportunità e che sono riusciti anche ad inventarsi, con successo, nuovi mestieri.

Lo testimoniano i giovani talenti che all’estero lavorano per grandi società di architettura e ingegneria, con mansioni che nel nostro Paese non troverebbero ancora una domanda. Alberto Tono, classe 1991, architetto e ingegnere edile, con una specializzazione in informatica, lavora a San Francisco per la società Hok e si occupa di ricerca e sviluppo: «Lavoriamo per ottimizzare i workflow aziendali interni. Addestriamo le macchine a risolvere problemi, cerchiamo di far risparmiare tempo ai colleghi, nei casi in cui avrebbero a che fare con operazioni ripetitive. In questi giorni all’Aia (l’associazione degli architetti americani, nda) abbiamo illustrato il cantiere dell’aeroporto di Salt Lake City, in Texas mettendo a fuoco l’importanza di una progettazione integrata tra i diversi stakeholder». Si parla di knowledge engineering e di innovazione nella comunicazione interna. «Per gestire un progetto così complesso, al quale la nostra società lavora da dodici anni – spiega Tono – abbiamo un ambiente di lavoro condiviso, virtuale, nel quale le informazioni vengono scambiate e interpolate. Parliamo di 2 Bim manager, 15 Bim coordinator, un centinaio di professionisti coinvolti e 144 file Revit prodotti, tutto integrato in un unico maxi-documento, federato, prezioso soprattutto per la fase di gestione e manutenzione dell’opera». Tono è un giovane professionista in una società di 1.700 persone distribuite in 23 città del mondo; il mondo cloud e le piattaforme open source per lui sono il tavolo di lavoro.

Anche per Armando Casella, tra i fondatori di BimFactory, società bresciana con 3 anni di attività e una quarantina di collaboratori, il valore aggiunto delle informazioni è quello sul quale investire: i dati sono il vero tesoro, considerando che potranno essere la base di nuovi business. «Nel ciclo di vita si ha il vero guadagno economico – ribadisce Casella – e chi ha i dati avrà un vantaggio competitivo nella gestione». BimFactory opera al fianco di studi di progettazione e di imprese di costruzione, tra i clienti con i quali è al lavoro in questi mesi c’è anche l’impresa Carron per l’ampliamento del Campus H Farm di Roncade, e la Fondazione Le Pescherie di Giulio Romano per la quale sta facendo un importante lavoro di digitalizzazione per rappresentare il degrado dell’edificio, e predisporre gli interventi in funzione del ciclo di vita del bene. L’onda della digitalizzazione riguarda tutto il settore, grandi e piccoli studi. «E ormai – secondo Casella – non c’è più tempo per programmare la trasformazione digitale, bisogna farlo parallelamente alla gestione ordinaria. A fronte di nuove commesse – racconta l’architetto bresciano – sempre più spesso sono richieste nuove figure professionali: generalmente i manager dedicati alla conoscenza organizzativa e tecnica dialogano direttamente con chi gestisce il processo digitale. E tra non molto, ritengo che queste competenze possano anche essere assolte da un unico professionista. Anche chi si occupa di costi, sempre più spesso, entra in campo dall’inizio del processo per dare input e monitorare l’andamento del processo in tempo reale».

Il gap del mercato è stato intercettato anche da alcuni studi di progettazione che negli ultimi anni hanno investito per offrire risposte puntuali. Lo studio di architettura romano It's e la società svizzera di ingegneria Ingeni hanno fondato ad esempio la società Parallel Digital, specializzata proprio nel Bim management e nell’uso del digitale nel processo delle costruzioni. «In questo momento – racconta Paolo Mezzalama, uno dei soci – stiamo collaborando ad esempio per grandi operazioni come alcuni nuovi centri logistici Amazon in Italia. Siamo stati chiamati dalla Jacobs, per la nuova sede della banca Lombard Odier One Roof a Ginevra, progettata dagli architetti Herzog e de Meuron, e per l'incubatore industriale Espace Tourbillon sempre a Ginevra».

La digitalizzazione diventa anche servizio, sviluppando una metodologia di approccio progettuale incentrato sull’utente come perno principale delle relazioni con lo spazio. Ed è soprattutto grazie ai processi multidisciplinari che la digitalizzazione fa interagire la tecnologia con l’utente finale. La società milanese Dotdotodot progetta ambienti interattivi ed emozionali in cui architettura, design e allestimento sono integrati con tecnologie digitali e nuovi media. Nel 2014 è stato fondato anche OpenDot, un Fab Lab pensato per la prototipazione rapida in una modalità aperta e condivisa. Tra i progetti in corso c’è la definizione della digital user experience all’interno di un hospice. «Attraverso degli insight generati dai dati raccolti dai sensori distribuiti nello spazio – spiega Alessandro Masserdotti, uno dei fondatori – medici e terapisti avranno a disposizione informazioni fattuali oltre alle loro percezioni personali e gli ospiti potranno creare un relazione più personale con la struttura perché essa risponderà puntualmente ai loro stimoli».

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