Condominio

Lavori dannosi, risarcimento anche se è stata annullata la concessione

di Valeria Sibilio

La Cassazione, con l'ordinanza 15214 del 2018, ha esaminato un caso in cui due proprietari del piano terra di un immobile condominiale proponevano appello contro la sentenza del Tribunale cittadino che aveva ripartito le spese relative al rifacimento dei solai e delle opere accessorie nella misura di euro 13.773,10 a loro carico e di euro 7.973,10 a carico del proprietario dell'appartamento sovrastante al primo piano. La sentenza confermava l'ordinanza emessa per l'esecuzione coattiva dei lavori che, a causa di entrambe le parti, avevano indebolito i solai che ripartivano gli appartamenti del primo e del piano terra. Il Tribunale condannava, inoltre, i convenuti a risarcire il danno, pari a euro 29.538,12, per il ritardo nell'esecuzione dei lavori di messa in sicurezza e per il mancato utilizzo dell'appartamento, oltre a rimborsare all'attore il 50% delle spese affrontate per il rifacimento delle opere di consolidamento dell'edificio, pari a euro 24.435,86, e a ulteriori euro 500,00 per l'eliminazione delle lesioni causate al primo piano dell'edificio, sulla base delle risultanze della consulenza espletata in sede di accertamento tecnico preventivo e di una successiva CTU.
Nell'atto di impugnazione, gli appellanti censuravano la pronuncia di primo grado nella parte in cui il Giudice, a fronte di una richiesta risarcitoria dell'attore, aveva disposto il rimborso non richiesto di spese da questi sostenute, senza tener conto del fatto che il giudice amministrativo aveva annullato, per difetto di domanda congiunta dei comproprietari, la concessione edilizia, rigettato la domanda riconvenzionale volta ad accertare se i lavori di ristrutturazione eseguiti dall'attore nel suo appartamento avessero reso necessari gli interventi di consolidamento del tetto, violato il principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato laddove aveva ritenuto che il ritardo nel compimento dei lavori era dipeso da un comportamento ostruzionistico degli appellanti, contestando nel merito anche la valutazione equitativa svolta in ordine al danno ritenuto che i lavori di demolizione di tramezzi, di ristrutturazione di un bagno e di una parete divisoria, e lo smantellamento della pavimentazione del massetto, effettuati dagli appellanti erano una concausa dei cedimenti strutturali verticali e orizzontali dell'edificio, contestando l'importo determinato dal giudice ai fini della manutenzione straordinaria resasi necessaria ed eseguita dall'attore senza il loro preventivo consenso e rigettato la domanda riconvenzionale tesa al risarcimento dei danni subiti a causa dei lavori eseguiti dalla controparte sul solaio, in particolare il danno derivante dal crollo delle mezzane e dalla conseguente impossibilità di utilizzo del proprio appartamento. L'attore appellato si costituiva e chiedeva il rigetto della sentenza.
Il T.A.R. con sentenza n. 172/2006, accoglieva il ricorso proposto dai convenuti per l'annullamento della concessione edilizia rilasciata dal Comune all'attore che, aveva eseguito i lavori di ristrutturazione del fabbricato senza il preventivo assenso. Pronuncia confermata, poi, dal Consiglio di Stato. Con sentenza n. 2051/2015, la Corte di secondo grado respingeva l'appello su ogni punto, confermando integralmente la sentenza di primo grado, e condannando gli appellanti alla rifusione delle spese. La Corte rilevava che le soluzioni tecniche adottate dai convenuti nel ristrutturare il piano terra risultavano aver sostanzialmente determinato la riduzione dei coefficienti di sicurezza statica del fabbricato e delle riserve di resistenza nei confronti di eventuali azioni dinamiche. Pertanto i lavori eseguiti dall'attore dovevano ricomprendersi tra le tipologie di intervento necessarie ai fini del consolidamento dell'edificio in comproprietà e, in merito, appariva del tutto irrilevante l'intervenuto annullamento da parte del giudice amministrativo della concessione edilizia ottenuta dall'attore, motivato da una questione formale di mancanza di assenso dei ricorrenti comproprietari al provvedimento amministrativo di rilascio della concessione. La Corte di merito, inoltre, aveva ritenuto che l'attore, a fronte della necessità del consolidamento delle strutture, aveva diritto al rimborso del costo dei lavori in misura pari alla quota di spettanza dei comproprietari convenuti e al risarcimento per i danni emergenti sofferti anche per il rallentamento delle opere edilizie determinatosi a causa dell'ostruzionismo dei convenuti e per il mancato utilizzo della propria abitazione nel periodo in cui è stato necessario intervenire per consolidare l'edificio, con aggiunta di propri oneri. Dichiarava, dunque, inammissibili, perché generiche, le critiche mosse alla sentenza in ordine al mancato accoglimento delle pretese dei convenuti. Per tali ragioni respingeva l'impugnazione su ogni punto.
Contro tale sentenza, i due proprietari proponevano ricorso per Cassazione, assumendo che il giudice del merito si fosse pronunciato su una domanda che l'attore non aveva avanzato, con decisione resa oggetto di impugnazione non adeguatamente valutata in sede di appello. Per gli ermellini, il motivo di appello è stato valutato sia per quanto riguarda la sussistenza di una pretesa in tal senso, sia per quanto riguarda gli aspetti formali della mancata autorizzazione dei comproprietari al compimento delle opere urgenti resesi necessarie per interventi eseguiti sulla struttura dell'edificio, considerando come dirimente la sussistenza di una necessità ad intervenire anche in assenza dell'autorizzazione dei comproprietari. Pertanto la motivazione si è dimostrata priva del requisito di congruenza, non prendendo in adeguata considerazione la motivazione resa dal giudice di merito.
La qualificazione della domanda era stata operata dal giudice di primo grado come tesa a recuperare l'edificio danneggiato. In tale caso il partecipante alla comunione o al condominio minimo può ricorrere all'autorità giudiziaria se non si prendono i provvedimenti necessari per l'amministrazione della cosa comune. Il motivo, per quanto appaia infondato nella interpretazione delle norme che offre, sull'assunto che si trattasse di un condominio ove è mancato il necessario passaggio assembleare, manca comunque del requisito di autosufficienza perché non riporta in quale atto processuale (come e dove) si dovrebbe ricavare una diversa qualificazione dell'azione proposta o una situazione di condominio di edificio con parti plurime.
I ricorrenti, inoltre, deducevano la nullità della sentenza in quanto la Corte territoriale avrebbe ignorato !a pronuncia del T.A.R. che aveva annullato la concessione edilizia in forza della quale l'attore aveva eseguito i lavori sulla copertura e la violazione del principio di giudicato esterno. Con la deduzione di tali motivi i ricorrenti, pur citando le sentenze del Tar e del Consiglio di Stato, non non ne trascrivevano il contenuto e neppure indicavano dove tali documenti trovano la loro collocazione nel procedimento di merito. I motivi pertanto sono risultati inammissibili per violazione del requisito di autosufficienza di cui all'articolo 366, numero 6 cod.proc. civ. dandosi peraltro atto che la Corte territoriale ha motivato in relazione all'irrilevanza del giudicato amministrativo nel risolvere la questione di diritto e di fatto sottoposta al vaglio del giudice ordinario, con motivazione sintetica ma sufficiente.
Tra gli altri motivi di ricorso, la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell'art. 132 I comma n. 4 cod. proc. civ. e dell'art. 111 IV comma Cost., laddove il Giudice d'Appello si era limitato ad aderire alla decisione di prime cure con formule stereotipate e prive di un autonomo ed apprezzabile contenuto. Motivo inammissibile in quanto i ricorrenti tentavano di far rientrare la censura sotto l'ombrello dell'errore processuale di cui all'articolo 360 numero 4 codice procedura civile, un vizio attinente alla valutazione dei fatti.
Per i ricorrenti, i giudici di merito avrebbero condannato al risarcimento del danno per i ritardi e ostruzionismo, nonostante non si fosse verificata la sospensione dei lavori all'interno del proprio appartamento, senza considerare gli effetti della sentenza pronunciata dal giudice amministrativo che annullava la concessione edilizia in forza del quale l'attore ha eseguito i lavori oggetto di controversia, disponendo nei loro confronti la condanna al risarcimento di un danno non qualificabile come ingiusto. Motivi inammissibili sotto il duplice profilo della mancata prospettazione di un errore di diritto, con riguardo al comportamento processuale tenuto dai ricorrenti, trattandosi di una violazione rientrante sotto la previsione dell'articolo 360 numero 5 codice procedura civile.
Anche la presunta violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ., 61 ss. cod. proc. civ., 2697, 2721 e 2725 cod. civ., per aver il Giudice di secondo grado confermato la pronuncia del tribunale di condanna al risarcimento del danno dipendente dalla indisponibilità dell'immobile sulla scorta della sola consulenza tecnica d'ufficio, senza considerare le prove testimoniali esperite è risultato inammissibile in quanto manca il supporto dei verbali di prova per testi che dovrebbero essere raffrontati con i rilievi del CTU.
La Cassazione, perciò, ha dichiarato inammissibile il ricorso, condannando i ricorrenti alle spese liquidate in euro 10.000,00, oltre euro 200,00 per spese, spese forfettarie al 15% e oneri di legge.

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