Condominio

La servitù, anche se è fonte di disagio, non si cambia senza un nuovo accordo

di Selene Pascasi

Il deposito d’acqua resta d0v’è. Un condòmino aveva spostato d'autorità alcuni serbatoi dell'acqua di una vicina che per servitù erano collocati nel suo sottotetto, ponendoli in
un'area condominiale. Ma la vicina si è opposta, ottenendo ragione dalla Cassazione.
Il principio è che è illegittimo lo spostamento delle opere necessarie all'esercizio della servitù per iniziativa unilaterale del proprietario del fondo servente il quale – se l'originario esercizio del diritto sia divenuto più gravoso, o impedisca di eseguire lavori, riparazioni o miglioramenti – può offrire al proprietario del fondo dominante un luogo altrettanto comodo per esercitare il diritto. E qualora l'offerta venga rifiutata, il trasferimento potrà essere chiesto e conseguito dal proprietario del fondo servente o per decisione del giudice, o per effetto di convenzione scritta fra le parti interessate. A puntualizzarlo è la Corte di Cassazione con ordinanza n. 14821 del 6 aprile 2018, depositata lo scorso 7 giugno (Relatore Antonio Scarpa) .
La vicenda parte dal ricorso promosso dagli eredi di un condòmino contro la decisione della Corte di Appello di Firenze di condannarli a ripristinare la servitù di deposito d'acqua (costituita con atto pubblico anni prima) posta a servizio dell'appartamento di proprietà di una condòmina e gravante sulla soffitta sovrastante il loro alloggio, anch'esso parte dello stabile condominiale.
Secondo i giudici di appello, se era certo che la signora aveva da sempre utilizzato l'impianto originario esistente nel sottotetto, non era stato, invece, provato l'accordo stretto tra i vecchi proprietari e teso (come ventilato dai convenuti) a trasferire l'impianto. Di qui, l'illegittimità sancita dal collegio di un trasferimento, non solo unilaterale, ma altresì avvenuto a carico di un fondo appartenente a terzi, ossia al giardino condominiale, senza acquisirne il consenso. Gli eredi, però, non si arrendono e portano il caso in Cassazione lamentando erroneità e difetto di motivazione, travisamento dei fatti e delle risultanze testimoniali, carenza d'istruttoria e illogicità manifesta.
Ciò di cui si dolgono, in particolare, è la circostanza per la quale il denunciato trasferimento dell'impianto non si sarebbe potuto attuare se non con la disponibilità e il consenso tacito della donna.
Ricorso inammissibile e comunque infondato. Intanto, spiegano a Piazza Cavour, l'atto, giacché privo dei necessari caratteri della tassatività e della specificità, si risolve, a ben vedere, in una «critica generica della sentenza impugnata». Peraltro, a prescindere dal rilievo per cui gli errori e le insufficienze lamentati nella motivazione della decisione impugnata esulano dalla sfera di manovra del giudice di legittimità, va sottolineato come la Corte di Appello avesse, invero, ben accertato la mancanza di prova di un trasferimento della servitù concordato per iscritto tra le parti interessate, sicché lo spostamento dell'impianto dal sottotetto al giardino condominiale non poteva che intendersi operato unilateralmente. E neanche si sarebbe potuta vagliare altra ed alternativa soluzione, senza procedere ad impediti accertamenti di merito.
Ad ogni modo, pur volendo soffermarsi sul nodo della lite, gli ermellini – abbracciando il solido orientamento giurisprudenziale già tracciato da Cassazione n. 2697/1991 – ricordano che «ai sensi dell'art. 1068 c.c., non è consentito lo spostamento delle opere necessarie all'esercizio della servitù per iniziativa unilaterale del proprietario del fondo servente, il quale, ove l'originario esercizio di quel diritto sia divenuto più gravoso, o impedisca di eseguire lavori, riparazioni o miglioramenti, ben può offrire al proprietario del fondo dominante un luogo altrettanto comodo per l'esercizio del suo diritto, ma, ove tale offerta non sia accettata, il trasferimento dell'esercizio della servitù in luogo diverso da quello originario può essere chiesto e conseguito dal proprietario del fondo servente o per decisione del giudice, o per effetto di convenzione scritta, ex art. 1350, n. 4, c.c., intercorsa fra le parti interessate, implicando il mutamento del luogo di esercizio variazioni nel contenuto della servitù medesima». Queste, le ragioni stilate a supporto del rigetto del ricorso.

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