Condominio

Quando l’appropriazione indebita è consapevole

di Giulio Benedetti

È evidente, dal dettato dell’articolo 1130 del Codice civile e 63 delle Disposizionindi attuazione, che la gestione del denaro dei condomini costituisce il contenuto principale del rapporto di mandato che lega l’amministratore ai componenti del condominio: occorre richiamare anche l’articolo 1710 del Codice civile, dove si afferma che il mandatario è tenuto a eseguire il mandato con la diligenza del buon padre di famiglia .

Il reato di appropriazione indebita (articolo 646 del Codice penale) si realizza quando l’amministratore gestisce il denaro dei condòmini come proprio e nei suoi confronti compie, per ricavarne un ingiusto profitto, l’«interversione del possesso». Tuttavia occorre chiedersi, tra tutte le attività compiute dall’amministratore condominiale, quali sono le condotte illecite che indicano univocamente la sua consapevole realizzazione del predetto reato.

Non sempre vi è chiarezza sul punto e la Corte di Cassazione con la sentenza 15800/2018 detta precisi criteri interpretativi . La sentenza dichiara inammissibile il ricorso avvero una sentenza della Corte d’appello che condannava un amministratore per appropriazione indebita continuata e aggravata di somme prelevate dai conti correnti di sedici condomìni.

L’amministratore ricorreva nei confronti della sentenza affermando l’assenza dell’elemento psicologico del reato, poiché mancava la prova della finalizzazione della condotta per procurarsi un ingiusto profitto a causa delle sue condizioni di indigenza. La difesa sosteneva che non vi erano certezze circa l’ammanco complessivo operato a carico di ciascun condominio e che né i testi, né gli operatori erano stati in grado di ricostruire, mentre dalle dichiarazioni dell’imputato emergeva la totale assenza di consapevolezza circa lo stato di dissesto delle gestioni condominiali.

Ma la Cassazione rileva che le indagini della Guardia di Finanza accertavano che il ricorrente aveva tenuto le seguenti coscienti e ripetute condotte. Egli aveva fatto confluire somme provenienti dai conti correnti intestati ai singoli condominii amministrati:

parte in un conto personale destinato alla gestione della propria attività professionale;

parte in un altro conto corrente cointestato con la moglie , il quale, a sua volta , veniva utilizzato per alimentare un ulteriore conto corrente bancario intestato alla figlia ed al suo fidanzato.

La Corte di Cassazione sosteneva che tali prelevamenti dai conti correnti condominiali erano privi di giustificazioni contabili e accanto agli stessi si affiancava l’emissione di assegni, incassati direttamente da terzi , privi di riferimento a specifiche causali nell’interesse condominiale.

Tali illeciti comportamenti cagionavano ai singoli condominii sostanziosi ammanchi di cassa che erano occultati attraverso la contabilizzazione di costi di gestione non adempiuti. Inoltre la Corte non dava nessun pregio alla ulteriore tesi difensiva per cui il reato non era configurabile in quanto nel corso del dibattimento non era emersa la prova sulla precisa individuazione delle somme di denaro illecitamente sottratte e conseguite con travasi capziosi di denaro effettuati dal ricorrente da un conto corrente ad un altro dei condominii amministrati. Anzi, la Corte afferma che dette operazioni erano invece finalizzate a ostacolare la puntuale ricostruzione degli ammanchi e tali condotte indubbiamente dimostravano l’elemento soggettivo doloso del reato di appropriazione.

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