Condominio

Riscaldamento, sul riparto fuori norma delibera nulla o annullabile?

di Valeria Sibilio


La condivisione delle spese relative all'utilizzo ed alla manutenzione dei servizi comuni, all'interno dell'universo condominiale, sono sovente motivo di dubbi nello stabilire la giusta ripartizione dei costi. In particolar modo per ciò che riguarda il riscaldamento. Come dimostra la sentenza della Cassazione n°11289 del 2018 , che ha esaminato un caso originato dall'atto di citazione con il quale il proprietario di una unità immobiliare convocava, dinanzi al Tribunale, il medesimo condominio chiedendo la nullità di alcune delibere assembleari - tenutesi fra il 10 marzo 2001 e l'11 luglio 2007 - limitatamente ai punti nei quali, in tema di riparto delle spese di riscaldamento, erano stati adottati criteri non conformi alla legge o al regolamento condominiale.
Il ricorrente chiedeva la condanna del condominio alla restituzione delle somme versate in eccedenza. Nella resistenza del convenuto, il Tribunale respingeva la domanda attorea. Allo stesso esito giungeva il Giudice di secondo grado nella successiva impugnazione interposta dal proprietario. La corte territoriale precisava che il regolamento condominiale invocato non prevedeva alcun criterio di riparto per le spese condominiali, ragione per la quale era stata indetta l'assemblea straordinaria del 10 marzo 2001, che, all'unanimità dei presenti, procedeva a ripartire il consumo della gestione in corso per unità immobiliari. Si trattava di delibere che non potevano essere ritenute nulle essendo state assunte a maggioranza e non esulando la materia dalle attribuzioni dell'assemblea per volontà del Regolamento condominiale. Né il proprietario aveva provato quanto il criterio di ripartizione delle spese per il riscaldamento fosse stato, in concreto, per lui più svantaggioso rispetto al criterio rigorosamente osservante della ripartizione per millesimi.
Contro la sentenza della Corte di appello, il proprietario proponeva ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi, cui resisteva il Condominio con controricorso.
Con il primo motivo, la parte ricorrente denunciava la violazione e la falsa applicazione degli artt. 112 e 346 c.p.c., con conseguente nullità parziale della sentenza, per avere egli stesso abbandonato in appello le domande di annullamento delle delibere per l'anno 2009, esaminate comunque dalla Corte di appello. Un motivo giudicato, dagli ermellini, inammissibile per carenza di interesse. In primo grado, trova applicazione il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, cui fa riscontro, nel giudizio d'appello, il principio del tantum devolutum quantum appellatum (artt. 342 c.p.c.), con la conseguenza che il giudice di primo grado non può pronunciare ultra petita, mentre nel giudizio di appello, che ha per oggetto la medesima controversia decisa dalla sentenza di primo grado, operano i limiti della devoluzione. Per cui, non può essere trattata e decisa una questione, già decisa in primo grado, se la questione stessa non risulti devoluta al giudice di appello oppure coperta dai giudicato sostanziale interno (art.2909 c.c.).
Questi due principi non impediscono il giudice dal rendere la pronuncia richiesta in base sia ad una ricostruzione dei fatti autonoma, che alla qualificazione giuridica dei fatti medesimi, ma gli vietano di attribuire alla parte un bene della vita diverso da quello richiesto oppure di emettere una qualsiasi pronuncia su domanda nuova che non si fondi su fatti ritualmente dedotti o, comunque, acquisiti al processo, anche se ricostruiti o giuridicamente da lui qualificati in modo diverso rispetto alle prospettazioni di parte, ma su elementi di fatto, che non siano, invece, ritualmente acquisiti come oggetto del contraddittorio.
La sentenza impugnata, spiega la Cassazione, non si discosta dai principi di diritto enunciati ed è stata vagliata dalla Corte di appello in ragione delle prospettazioni delle parti, tenendo conto che il bene della vita a tutela del quale il proprietario aveva adito il Tribunale era costituito dalla richiesta di annullamento delle delibere assembleari limitatamente al riparto delle spese di riscaldamento, deducendo, a sostegno delle proprie ragioni, la non conformità alla legge ed al regolamento condominiale dei criteri adottati, senza, quindi, violare I'art.112 c.p.c. e le altre disposizioni di legge richiamate per incorrere nel vizio di ultrapetizione. Il giudice del gravame, preso atto dell'abbandono da parte del ricorrente/appellante della domanda relativamente alle deliberazioni del 2009, nell'ordito motivazionale, si è limitato ad indicare tutti i deliberati onde poter meglio fondare il proprio convincimento. La Corte ha, inoltre, ritenuto non fondata la censura con la quale si assumeva la irregolarità dei criteri di riparto utilizzati, poiché le delibere erano state assunte a maggioranza. In ordine a tale determinazione, il ricorrente non aveva provato che il criterio utilizzato fosse, per lui, in concreto più svantaggioso rispetto al criterio rigorosamente osservante della ripartizione per millesimi.
Con il secondo motivo, per la parte ricorrente, la Corte di merito aveva ritenuto solo annullabili le delibere per il mancato rispetto della “norma di chiusura” sulla ripartizione delle spese contenuta nel Regolamento, nonostante il medesimo disponga che il conto di riparto delle spese occorrenti per la gestione dei servizi comuni avvenga sulla base della tabella millesimale. Nonostante dette previsioni, l'assemblea, a maggioranza, aveva fissato un criterio difforme. Nel terzo mezzo di ricorso, il proprietario lamentava una ricostruzione fuorviante da parte della Corte territoriale, la quale avrebbe ritenuto tutte le delibere impugnate con carattere di provvisorietà, giustificato da una situazione di emergenza. Gli ultimi due motivi, incentrati sulla medesima questione della nullità/annullabilità delle deliberazioni, sono stati trattati unitariamente dalla Cassazione.
In materia di ripartizione delle spese condominiali, le delibere sono nulle se l'assemblea, esulando dalle proprie attribuzioni, modifica i criteri di riparto stabiliti dalla legge (o in via convenzionale da tutti i condomini), mentre sono annullabili nel caso in cui i suddetti criteri vengano violati o disattesi. Nel caso in questione, non si può sostenere che l'assemblea del Condominio avesse modificato i criteri di riparto delle spese di riscaldamento stabiliti dalla legge, per cui è da escluderne la nullità. Il ricorrente proponeva di rivalutare le risultanze probatorie per dare conforto al proprio assunto dell'erroneo rilievo dei consumi di calore posti a base del riparto, con ciò investendo il giudice di legittimità di compiti che esulano dai limiti del suo sindacato. La Corte territoriale ha evidenziato che non vi era la prova che egli avesse ricevuto un danno, né ciò poteva essere messo in discussione dalla proposizione di una generica domanda restitutoria, affidata ad una consulenza tecnica esplorativa. Il condominio, inoltre, che intenda proporre l'impugnativa di una delibera dell'assemblea, per l'assunta erroneità della disposta ripartizione delle spese di gestione, deve allegare e dimostrare di avervi un interesse che presuppone la derivazione dalla deliberazione assembleare di un apprezzabile suo personale pregiudizio, in termini di mutamento della rispettiva posizione patrimoniale.
La Cassazione ha, perciò, rigettato il ricorso, condannando il ricorrente alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese di legittimità, liquidate in euro 2.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misure del 15% e agli accessori di legge.

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