Condominio

Non è diffamazione accusare qualcuno di uso scorretto di un bene comune

di Valeria Sibilio

Le assemblee condominiali rappresentano, da sempre, nell'immaginario collettivo, arene nelle quali la pacifica convivenza sociale lascia il posto a manifestazioni litigiose che, a volte, degenerano verso procedimenti giudiziari. Come nel caso della sentenza 21128 del 2018, nella quale la Cassazione ha esaminato un caso originato da una discussione avvenuta durante una assemblea condominiale nella quale una condòmina aveva accusato due minorenni colpevoli, a suo dire, della rottura del motore del cancello condominiale. In realtà, il cattivo funzionamento era dovuto ad un vizio strutturale del cancello e non ad un suo uso scorretto.
Il Tribunale, confermando la sentenza del Giudice di Pace, aveva condannato la condòmina per diffamazione. Contro tale decisione lei proponeva ricorso per cassazione lamentando una violazione di legge e una motivazione illogica in merito al mancato accoglimento dell'eccezione d'incompetenza di cui all'articolo 11 cod.proc.pen. in quanto la madre dei minori era magistrato in servizio nel distretto locale della Corte di Appello. Lamentava, inoltre, una ulteriore violazione di legge e illogicità della motivazione in merito alla ritenuta sussistenza del delitto di diffamazione ed, infine, una violazione di legge e carenza di motivazione in merito al disposto trattamento sanzionatorio. Gli ermellini hanno giudicato infondato il motivo.
L'articolo 11 cod.proc.pen. disciplina la competenza per i procedimenti riguardanti Magistrati, sia come indagati o imputati sia come persone offese o danneggiati dal reato, stabilendo che in tali casi è competente il Giudice ugualmente competente per materia che ha sede nel capoluogo del distretto, diverso da quello dove ha prestato o presta servizio il Magistrato coinvolto, di Corte d'appello determinato per legge dalla tabella A, allegata all'articolo 1 disp.att.cod.proc.pen., che contiene una attribuzione di competenze “a catena”. La disposizione tutela il diritto di difesa del cittadino imputato e gli interessi del Magistrato danneggiato, garantendo la terzietà e l'imparzialità del Giudice, eliminando qualsiasi sospetto di parzialità determinato dal rapporto di colleganza e dalla normale frequentazione tra Magistrati operanti in Uffici Giudiziari del medesimo distretto di Corte d'appello e, quindi, assicurando l'imparzialità del Giudice, che potrebbe essere compromessa nei casi in cui giudicandi e giudicanti fossero legati da particolari rapporti di comunanza professionale territoriale e quindi di frequentazioni quotidiane. La competenza stabilita dall'articolo 11 ha natura funzionale e non territoriale. Per cui, l'eventuale incompetenza può essere eccepita o rilevata, anche di ufficio, in qualsiasi stato e grado del procedimento. La concreta operatività della disciplina dettata dall'articolo 11 è subordinata, però, alla condizione che il Magistrato, nel procedimento penale, assuma formalmente la qualità di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato. Questo significa che la sua qualità, affinché diventi operante, debba essere formalmente assunta attraverso le iniziative formali previste dall'ordinamento giuridico spettanti all'organo del Pubblico Ministero. Il che non è avvenuto nel caso in questione, nel quale i minori sono stati rappresentati dal solo padre.
Per la Corte, la frase ritenuta diffamatoria si limitava ad evidenziare una situazione di fatto, non contestata nel suo accadimento, priva di alcun intento diffamatorio. Non vi era alcuna infondata accusa di aver provocato la rottura del cancello condominiale, come erroneamente ritenuto dai Giudici del merito, ma soltanto un isolato uso scorretto dello stesso, che è cosa ben diversa dal far credere che sia stata la causa della rottura. In tema di diffamazione, la reputazione si identifica con il senso della dignità personale in conformità all'opinione del gruppo sociale, secondo il particolare contesto storico. Non costituiscono, pertanto, offesa alla reputazione le sconvenienze, l'infrazione alla suscettibilità o alla riservatezza. Non si vede, pertanto, quale attacco ad personam, sia potuto possa derivare ai due ragazzi, peraltro minorenni e quindi meno sensibili al disvalore sociale di un loro comportamento non consono ai canoni di correttezza della vita condominiale.
La Cassazione ha, perciò, annullato la sentenza impugnata senza rinvio in quanto il fatto non sussiste.

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