Condominio

La perfidia in condominio è «violenza privata»

di Giulio Benedetti

Il condominio è fatalmente un luogo di litigi in quanto comporta la convivenza forzosa di individui diversi. Nei casi più gravi certe condotte configurano i reati di minaccia (art. 612 c.p.), di lesioni (art. 582 c.p.), di diffamazione (art. 595 c.p.) , di molestia (art. 660 c.p.), di schiamazzi e di disturbo alla quiete pubblica (art. 659 c.p.) . Ricorre l'ipotesi dell'art. 612 bis c.p. (atti persecutori) se le condotte reiterate di minaccia o di molestie cagionano a taluno un perdurante e grave stato di ansia o di paura o ingenerano un fondato timore per la incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona di affetto o costringono la parte lesa ad alterare le proprie abitudini di vita.
La Corte di Cassazione, sezione V penale (Sent. n. 24005/2015) aveva a suo tempo ravvisato tale reato all'interno del condominio nella persecuzione di alcuni condomini da parte di un vicino che , al fine di rendere intollerabile la loro vita e per fare cambiare le loro abitudini , forse nella speranza di un loro definitivo allontanamento, aveva loro rivolto espressioni ingiuriose, aveva staccato i loro contatori di luce elettrica , li aveva affrontati brandendo un mattarello, aveva richiesto più volte l'intervento delle forze dell'ordine all'interno della loro abitazione per accuse di rumori molesti , poi rivelatesi infondate. Tali condotte , dolosamente attuate dall'agente, generavano nelle persone offese un grave stato di ansia e di paura che modificavano le loro abitudini, al fine di evitare i comportamenti destabilizzanti del vicino. In tal modo veniva condizionata la loro vita quotidiana ed il marito doveva adoperarsi per evitare che la moglie rimanesse sola a casa .
Occorre notare che nel condominio fortunatamente non sempre ricorrono tali situazioni, ma spesso si realizzano condotte solo apparentemente minori , in realtà di sottile perfidia e che alterano la civile convivenza e sono penalmente rilevanti. La Corte di Cassazione, con una recentissima sentenza (n. 18808/2018) sempre della Sezi0ne V Penale, ha rigettato il ricorso avverso una sentenza di condanna di un condomino per l'art. 610 c.p. (violenza privata). La condotta era quella di avere impedito, non fornendo le chiavi di cui era in possesso, l'accesso di un altro condominio con l'automobile attraverso un cancello condominiale.
La Corte afferma che integra il delitto di violenza privata qualsiasi comportamento , sia verso il soggetto passivo, che verso altri, idoneo ad incutere timore ed a suscitare la preoccupazione di subire un danno ingiusto , finalizzato ad ottenere che , mediante l'intimidazione , il soggetto passivo sia indotto a fare , tollerare od omettere qualcosa ( C.Cass. Sent n. 29261/2017).
Il requisito della violenza consiste in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l'offeso della libertà di determinazione e di azione. La Corte di Cassazione (sent. n. 4284/2015) ha ravvisato la violenza privata nella condotta del condomino che aveva sostituito la serratura della porta di accesso di un vano caldaia, mediante la mancata consegna al condomino ed impedendo l'esercizio del diritto di servitù gravante sul locale. Inoltre la Corte ha escluso la validità del ragionamento difensivo per cui il mancato passaggio dell'auto non ha impedito alla persona offesa di entrare , tenuto conto che vi era un passaggio pedonale , non impedito dalla condotta dell'imputato. Infatti integra il delitto di violenza privata anche il comportamento di chi costringa il soggetto passivo ad una condotta diversa da quella programmata.
Vale a dire che il reato ricorre nel caso della guida del proprio veicolo , compiendo deliberatamente manovre tali da interferire significativamente nella guida di un altro utente della strada , oppure superando la persona offesa , per poi sbarrarle la strada ed impedirle di andare nella direzione desiderata o ancora parcheggiando l'auto in maniera di ostruire l'ingresso al garage condominiale e rifiutando di rimuoverla nonostante la richiesta della persona offesa (C. Cass. Sent. n. 33253/2015; Sent. n. 21197/2013; Sent. n. 603/2011).
Ne consegue che la Corte di Cassazione non condivide il ragionamento difensivo che si fonda sull'esistenza di un cancelletto pedonale che avrebbe , in ogni caso, consentito l'accesso ai luoghi , tenuto conto che il comportamento programmato della persona offesa , inibito mediante il comportamento idoneo a delimitare la libertà della parte lesa , mediante il cambio di lucchetto, era quello di transitare con la propria autovettura e non a piedi.

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