Condominio

Tettoia abusiva? Ok all'accesso agli atti per verificare se il Comune tratta tutti allo stesso modo

di Donato Palombella

L'esercizio del diritto d'accesso agli atti spesso è frutto di aspre controversie che sfociano nelle aule dei tribunali. Questa volta il problema appare particolarmente complesso in quanto si discute della possibilità di accedere al fascicolo di un concittadino, titolare di una posizione analoga a quella del ricorrente, senza che ricorra il requisito della “vicinitas” in quanto gli immobili in esame si trovano a diversi chilometri di distanza. La situazione si complica ulteriormente in quanto, poiché l'area d'intervento è sottoposta a vincolo paesaggistico, viene tirato in ballo il diritto di accesso alle informazioni ambientali. Per avere un'idea della complessità della vicenda, bisogna considerare che il Consiglio di Stato, per venirne a capo, ha dovuto redigere una sentenza di oltre venti pagine.
Il caso
Il caso contrappone gli interessi dell'ipotetico sig. Rossi, a quello dell'altrettanto ipotetico sig. Bianchi, entrambi proprietari di un immobile in area vincolata. Il Comune accerta che il sig. Rossi ha realizzato abusivamente una tettoia aperta su tre lati; in un primo tempo (nel 2007) applica una sanzione pecuniaria poi trasformata in ordine di demolizione (nel 2015). Il destinatario del provvedimento decide di difendersi in maniera inusuale chiedendo di accedere al fascicolo edilizio del sig. Bianchi, suo concittadino. Quest'ultimo, proprietario di un immobile distante oltre 10 km, a quanto pare si trovava in condizioni analoghe avendo edificato (probabilmente in maniera abusiva), tre tettoie con pilastri in muratura. Il ragionamento di base è semplice: se il Comune non ha adottato alcun provvedimento demolitorio verso Bianchi che ha realizzato (abusivamente) tre tettoie, non potrà ordinare la demolizione neanche a Rossi. Bianchi, ovviamente, vedendosi chiamato in causa da uno sconosciuto, diffida il Comune a consentire il diritto di accesso agli atti del proprio fascicolo edilizio.
Le vicende dinanzi al Tar
La vicenda da l'avvio ad una vera e propria battaglia legale che contrappone gli interessi del sig. Rossi - che sostiene di poter accedere agli atti di un procedimento edilizio relativo ad un concittadino - e del sig. Bianchi - che si oppone a tale ingerenza. Il Comune, preso tra due fuochi, rimane inerte, il che innesca ulteriori ricorsi al Tar per far dichiarare la illegittimità del silenzio prestato dall'amministrazione.
Una prima sentenza del giudice amministrativo, riconosce l'impossibilità di esprimersi sul merito in quanto, per poter stabilire se le opere eseguite da entrambe le parti siano o meno legittime, occorrerebbe un'adeguata attività istruttoria che richiederebbe un ulteriore dispendio di tempo e di energie. Rileva che il trascinarsi della situazione di incertezza non giova a nessuno, anche perché la legittimità delle opere incide sullo stesso valore economico dei beni e sulla loro possibilità di essere liberamente venduti; “bacchetta” il Comune che avrebbe assunto un comportamento in contrasto col principio di celerità e buon andamento della pubblica amministrazione riconoscendo la sussistenza, in capo alla Pa, del dovere di concludere il procedimento mediante un provvedimento espresso che, eventualmente, avrebbe potuto essere impugnato dall'interessato. Di conseguenza, il Tar ordina all'Ufficio Tecnico del Comune «di provvedere sulla richiesta del ricorrente entro 30 giorni».
Il parere del Comune
Obbligato ad esprimersi, il Comune ritiene che, anche in mancanza del requisito della “vicinitas”, l'istanza di accesso agli atti sia legittima. L'amministrazione valorizza una circostanza: le informazioni riguarderebbero non tanto la materia edilizia, quanto la tutela paesaggistico-ambientale che costituisce, per sua natura, un autonomo “bene della vita”; sottolinea, al riguardo, che chiunque può avere accesso alle informazioni ambientali a prescindere dalla necessità di comprovare il proprio interesse.
Il diritto di accesso agli atti viene impugnato
Il provvedimento del Tar mette alle corde il sig. Bianchi che si rivolge nuovamente al giudice amministrativo per chiedere l'annullamento del provvedimento che autorizza il sig. Rossi ad accedere al proprio fascicolo; in assenza del requisito della “vicinitas”, mancherebbe un interesse attuale e concreto all'esercizio del diritto di accesso agli atti. Il Tar cambia prospettiva e accoglie il ricorso presentato dal sig. Bianchi mettendo nuovamente fuori gioco la controparte.
I motivi che, secondo il Tar, vietano l'accesso
Secondo il Tar l'istanza del sig. Rossi non può essere accolta in quanto l'interessato non avrebbe specificato le ragioni per le quali ritiene che gli atti richiesti siano indispensabili -o anche solo utili- alla tutela della sue esigenze difensive; precisa che non è possibile esercitare il diritto di accesso al mero scopo di verificare la coerenza dell'azione amministrativa in quanto ciò equivarrebbe all'esercizio di un potere di controllo sull'attività della Pa.
Non si tratta di informazioni ambientali
Il Tar sottolinea un punto essenziale della vicenda. La circostanza che il manufatto ricada in zona paesaggisticamente vincolata non basta per qualificare come “informazioni ambientali” i dati richiesti. Il DLgs n. 195/2005, recependo la normativa europea, riconosce a tutti i cittadini il diritto di accedere alle informazioni di natura ambientale a prescindere dall'esistenza di un interesse attuale e concreto. Tale norma, peraltro, si applica solo ed esclusivamente nei confronti delle informazioni relative allo «stato dell'ambiente (aria, sottosuolo, siti naturali, ecc.) ed ai fattori che possono incidere sull'ambiente (sostanze, energie, rumori, radiazioni, emissioni), sulla salute e sulla sicurezza umana, con esclusione quindi di tutti i fatti e i documenti che non abbiano, come nella fattispecie, un rilievo ambientale».
Il Tar effettua anche un'altra precisazione: la circostanza che il diritto dell'Unione Europea, recepito dal DLgs n.195/2005, riconosca ai cittadini la facoltà di accedere alle “informazioni ambientali” non esclude che l'istanza di accesso debba comunque essere motivata esplicitando le ragioni che rendono necessario l'esercizio del dititto.
Il Comune impugna il verdetto
La sentenza con cui il Tar nega l'esercizio del diritto di accesso viene impugnata con un corposo ricorso da parte del Comune. Secondo l'amministrazione comunale, il sig. Rossi, quale destinatario di un provvedimento sanzionatorio con cui prima viene irrogata una sanzione pecuniaria, e poi quella demolitoria, sarebbe titolare di un diritto attuale e concreto che legittimerebbe l'esercizio del diritto di accesso agli atti allo scopo di difendere i propri interessi giuridici. L'accesso al fascicolo di un concittadino sarebbe necessario per effettuare delle “comparazioni” al fine di potersi difendere dinanzi all'autorità amministrativa o giurisdizionale. Quindi “se il diritto di accesso è volto ad assicurare la trasparenza dell'attività amministrativa e a favorirne lo svolgimento imparziale, come recita l'art. 22 della l. n. 241/1990, l'accesso non può non essere consentito a chi può avvalersi di un atto per la tutela di una sua posizione soggettiva e giuridicamente rilevante”.
A differenza di quanto scrive il Tribunale, non vengono in considerazione “finalità di controllo generalizzato”. Vengono invece in questione esigenze difensive, attraverso l'invocazione di situazioni analoghe, oggettivamente sussistenti.
Il Consiglio di Stato pone fine alla questione
La sesta sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza n.2158 del 9 aprile 2018 , pone fine a questa complessa vicenda. Ha ragione il Comune quando riconosce, in capo al sig. Rossi, un interesse differenziato, diretto, concreto e attuale a conoscere gli atti e ad avere le informazioni richieste. Il diritto di accesso troverebbe il proprio fondamento negli elementi di somiglianza esistenti tra la propria posizione e quella di un altro cittadino nonché nella necessità di tutelare la propria posizione.
Legittimo l'accesso difensivo agli atti
Il giudice d'appello fonda il proprio giudizio su un duplice presupposto: la legge e la giurisprudenza.
L'art. 24, comma 7, della l. n. 241/1990 prevede che «deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici».
Per la giurisprudenza (Cons. Stato, nn. 2516/12, 116/12, 7183/10, 1067/10, 5569/06 e 1680/05), la documentazione richiesta deve costituire, astrattamente, un mezzo utile o necessario per difendere la propria posizione senza che l'amministrazione possa compiere apprezzamenti sulla fondatezza della domanda o sulla possibilità che i documenti di cui si chiede l'estensione siano rilevanti per la difesa dei diritti del richiedente.
Non viene esercitato il controllo sull'attività della Pa
Nel caso in esame, il sig. Rossi non chiede di poter accedere agli atti per effettuare un controllo (illegittimo) sull'attività dell'amministrazione ma, più semplicemente, chiede di esercitare il diritto di accesso allo scopo di poter tutelare la propria posizione giuridica. In tale contesto, è sufficiente che la parte prospetti, in maniera plausibile, l'esistenza di un rapporto di strumentalità tra l'accesso ai documenti e lo scopo di tutela dei propri diritti ed interessi di proprietario interessato da un procedimento amministrativo edilizio repressivo in corso.
La vicenda è caratterizzata da una correlazione tra la cognizione degli atti e documenti di cui si chiede l'estensione e la tutela della posizione giuridica indicata, avuto riguardo alle esigenze defensionali delle quali si è detto. Esiste, quindi, un interesse diretto, concreto e attuale della parte dell'istante a conoscere cosa sia avvenuto in un contesto analogo. In tale prospettiva, la circostanza che le tettoie di due concittadini si trovino a distanza di vari chilometri, appare irrilevante.

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