Condominio

Vasche e fontane sono condominiali perché strumentali all’estetica

di Selene Pascasi

È la strumentalità delle parti comuni al godimento dei beni di proprietà individuale che costituiscono l'utilità finale per ogni condomino, a decretare la sussistenza del condominio. I titolari delle singole unità, infatti, fruiscono della comproprietà di beni, impianti e servizi comuni proprio in virtù di un collegamento strumentale, materiale o funzionale. Lo sottolinea il Tribunale di Rimini, con sentenza n. 218 del 28 febbraio 2018 (giudice Elisa Dai Checchi).
A chiamare in causa un condominio è, in qualità di condomina, una società per azioni. Con delibera, che la S.r.l. impugna, il condominio – scrive la ditta nell'atto di citazione – aveva deciso di non farsi carico dei costi relativi al funzionamento di fontane e vasche adiacenti gli spazi condominiali, trattandosi di opere collocate su area di proprietà esclusiva e, dunque, non comuni. Tra l'altro, puntualizza la società, la delibera in questione era stata adottata in violazione della convenzione urbanistica con cui si autorizzava la costruzione del complesso immobiliare.
Accordo, che obbligava la ditta sia a realizzare le opere di urbanizzazione da trasferirsi poi al comune previa approvazione e collaudo, sia a curare la manutenzione e a sostenere i costi delle predette opere, sino al momento della cessione al patrimonio dell'ente. Tuttavia, concludeva, l'ultima condizione, ossia il trasferimento delle aree al soggetto pubblico, non si era ancora avverata atteso che il comune aveva sì adottato un disciplinare tecnico per rilevare la vocazione artistica di interesse pubblico delle opere ma (con il medesimo atto) aveva accertato l'accessorietà delle stesse al condominio che, quindi, era tenuto alla manutenzione.
In altre parole, gli obblighi convenzionali di manutenzione di dette aree dovevano intendersi trasferiti a tutti i condòmini, e per essi al condominio, trattandosi di obbligazioni puntualmente «assunte da ciascun condomino con la sottoscrizione dell'atto di acquisto della propria unità abitativa e l'adesione al regolamento condominiale» considerato che in entrambi i documenti vi era espresso richiamo alla convenzione urbanistica e all'atto ricognitorio finale. Accuse respinte dal condominio che, nel costituirsi, ribadisce l'intenzione di non accollarsi spese non inerenti ad aree indicate come comuni nel regolamento.
Tesi bocciata dal Tribunale che, invece, accoglie la ricostruzione operata dalla società. È documentato, premette, che l'insediamento residenziale commerciale in cui risulta inserito il condominio fosse stato edificato sulla base di convezione con cui gli attuatori – in “cambio” della realizzazione di opere di urbanizzazione (tra cui vasche e fontane) delle quali prendevano in carico gestione e manutenzione fino al trasferimento in favore del comune – ottenevano il permesso di costruire.
Al collaudo finale, però, non era seguito un formale atto di acquisizione da parte dell'ente. Non solo. Dagli accertamenti, era emerso che il condominio, essendo inserito in un più ampio complesso dotato di una propria uniformità estetica, andava con esso a costituire un insieme organico. E al suo interno, insistevano piazzette, verde, opere artistiche, pergole, fontane, vasche e laghetti con giochi d'acqua, organizzati in modo tale da essere funzionali al godimento degli edifici e, comunque, stabilmente destinati a ornamento dello stabile di cui miglioravano l'estetica. Sussisteva, dunque, un nesso di accessorietà tra le singole porzioni immobiliari e le descritte opere ornamentali e artistiche. Ecco che – se il condominio è un'entità che sussiste in «quanto esistano porzioni di edificio che non sono oggetto di godimento diretto, ma che sono strumentali al godimento delle parti in proprietà esclusiva» – allora la sua esistenza (come ricorda, da ultimo, Cassazione 5335/2017) dipende «esclusivamente dalla strumentalità delle parti comuni al godimento dei beni di proprietà individuale che costituiscono l'utilità finale per ciascun condomino, in ciò risiedendo la differenza rispetto alla comproprietà, nell'ambito della quale il bene comune oggetto del godimento diretto rappresenta esso stesso l'utilità finale per ciascun comunista». Varrà, così, la presunzione di condominialità sancita dall'articolo 1117 del Codice civile per cui le parti di edificio necessarie all'esistenza del condominio (condominialità necessaria) o strumentali al godimento di porzioni di proprietà solitaria o tese a soddisfare le esigenze del condominio (condominialità funzionale) si presumono comuni, salvo prova contraria offerta da chi invochi la proprietà esclusiva (Cassazione 16367/2015). Del resto, marca Cassazione 20612/2017, la norma civilistica attribuisce ai titolari delle singole unità immobiliari la comproprietà di beni, impianti e servizi per «propagazione ad essi dell'effetto del trasferimento delle proprietà solitarie, sul presupposto del collegamento strumentale, materiale o funzionale, con queste, se manca o non dispone diversamente il relativo titolo traslativo». Collegamento che, peraltro, sussiste anche per porzioni di edificio che, pur non strutturalmente necessarie, fungano da miglioria estetica (Cassazione 30071/17). Ebbene, nella vicenda, vasche e fontane potevano dirsi accessorie alle singole unità giacché: inscindibilmente legate alle parti comuni; stabilmente destinate a servizio e ornamento del condominio; funzionali al godimento di parti esclusive. Di qui, non risultando agli atti alcun elemento che potesse infrangere la presunzione di condominialità, la decisione del Tribunale di accollarne al condominio le spese di gestione e manutenzione. Ciò, non tanto perché i condomini ne avessero assunto l'obbligo al momento dell'acquisto, ma soprattutto in quanto beni comuni.

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