Condominio

Amianto in condominio, tutele insufficienti

di Giulio Benedetti

La prima vera normativa che abbia seriamente trattato della capacità di creare posizioni di garanzia (nella specie di controllo delle fonti di pericolo di amianto ) è stata emanata con il D.Lgs. n. 277/1999 . Inoltre l'amianto, proprio per la sua intrinseca pericolosità per la salute umana è stato posto al bando nelle lavorazioni industriali dalla legge 27 marzo 1992 n. 257 la quale ha vietato l'estrazione l'importazione, l'esportazione, la commercializzazione e la produzione di tale minerale; Il divieto di uso comprende anche i silicati fibrosi contemplati dal D.Lgs. 15 agosto 1991 n. 277 . Tale legge n. 257/1992, oltre a fissare i valori limite, la classificazione, l'imballaggio e l'etichettatura; riguarda l'utilizzazione dell'amianto, la lavorazione e la produzione di prodotti di amianto o di prodotti contenenti amianto libero o legato in matrice friabile o in matrice cementizia o resinoide, di prodotti che possano immettere nell'ambiente fibre di amianto, nonché i rifiuti di amianto.
Il D.Lgs. 25 luglio 2006, n. 257 recepisce nel nostro ordinamento giuridico la direttiva 2003/18/CE inerente la protezione dei lavoratori derivanti dai rischi derivanti dall'esposizione all'amianto durante il lavoro. Tali testi normativi , unitamente al D.lgs. n. 81/2008, vietano conservare all'interno del condominio materiale contenenti amianto e, a tal riguardo, la Corte di Cassazione (sent. n. 6029/2017) ha rigettato il ricorso avverso una sentenza che ha condannato i proprietari di un edificio al risarcimento del danno , in favore di un comune, corrispondente alla spesa di materiale di costruzione a base di amianto avvenuto a seguito del distacco dall'edificio condominiale di numerose lastre di eternit che si erano riversate sulla pubblica strada.
La Corte ha condiviso il ragionamento del giudice di appello il quale , sulla base dell'istruttoria di primo grado, aveva stabilito che le lastre di eternit si fossero staccate dall'edificio condominiale non a causa di una tempesta di vento , bensì per inadeguata copertura dell'edificio. Da tale assunto consegue la correttezza della sentenza impugnata la quale ha ritenuto provato il danno , consistente nell'occupazione della strada comunale e nella spesa necessaria per la loro rimozione, sulla base della determinazione del Comune e della fattura per la rimozione delle lastre e pertanto la Corte di merito affermava “che sia stata fornita una prova sufficiente della corrispondenza del materiale rimosso dalla strada, e smaltito dall'impresa specializzata che ha emesso la fattura”.
La Corte di Cassazione stabilisce la fondatezza della domanda di risarcimento del danno del Comune fondata su uno smaltimento di rifiuti ottenuto da un'impresa specializzata nello smaltimento del rifiuto pericoloso di amianto, dannoso per la pubblica incolumità. La sentenza 6029/2017 applica il principio “chi inquina paga” secondo quanto previsto dall'art. 192 del D.lgs.n. 152/2006 il quale oltre a vietare l'abbandono di rifiuti sul suolo statuisce che l'autore sia tenuto a procedere alla rimozione , all'avvio a recupero o allo smaltimento di rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi. Tale responsabilità è stabilita in solido con il proprietario e con i titolari dei diritti reali e di godimento dell'area interessata dallo sversamento dei rifiuti , ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa , in base agli accertamenti effettuati , in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere , decorso il quale procede all'esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme necessarie.
Da ultimo, la sentenza della Cassazione n. 10395/2018 ha rigettato il ricorso avverso una sentenza di condanna per omicidio colposo del legale rappresentante di un'impresa per il quale lavorava un operaio, dipendente da un'altra ditta presente in cantiere in subappalto. In particolare l'operaio decedeva mentre stava lavorando su di uno dei lucernaio ove erano poste a copertura delle lastre di eternit , una delle quali si rompeva sotto il suo peso, cagionandone la caduta al suolo da un'altezza di otto metri. La sentenza afferma che la responsabilità dell'imputato trova il fondamento nella mancata adozione di passerelle, di aggancio ad apposito ancoraggio con le cinture di sicurezza , nella mancanza di queste ultime. L'imputato era garante del rischio di caduta dall'alto e connesso agli interventi sul tetto sia per la rimozione dei pannelli di eternit , sia per l'attività di pulitura dei listelli in legno , da lui subappaltata alla ditta da cui dipendeva la vittima. Con riguardo a tale attività la sentenza afferma l'imputato non dismetteva la sua posizione di garanzia con il subappalto all'altra ditta. Infatti l'imputato , affidando il subapaplto, aveva ben chiaro quale fosse il rischio connesso ai suddetti lavori di subappalto connesso al lavoro di pulitura dei listelli e si attivava per segnalare con un'apposita piantina i punti del tetto ove vi erano buche . Tuttavia omise di mettere la ditta sub -appaltatrice , da cui dipendeva la vittima, nelle condizioni di operare in sicurezza e ometteva di mettere a disposizione di detta ditta e dei relativi lavoratori i necessari strumenti di protezione e di dare ai lavoratori informazioni complete circa i rischi presenti sul tetto e come affrontarli.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©