Condominio

La molestia telefonica non è giustificata dal rumore prodotto dal vicino

di Valeria Sibilio


Il turbamento della tranquillità domestica, all'interno dell'universo condominiale, è un aspetto che, il più delle volte, viene identificato come maleducazione e risolto all'interno del perimetro del palazzo. Tuttavia, quando questi comportamenti persecutori assumono una valenza conflittuale tra condòmini, è facile che la situazione venga risolta attraverso le vie giudiziarie. La sentenza della Cassazione penale n°14782 del 2018 ha esaminato un caso in cui il Tribunale di primo grado aveva assolto un condòmino dal reato di molestie, ai danni del suo vicino di casa, perpetrato con telefonate mute a tutte le ore della giornata. Il giudice aveva considerato, quale causa di non punibilità, la situazione che si concretizza in una reazione nello stato d'ira determinato da un fatto ingiusto altrui e subito dopo di esso. Nel caso in questione, molestie acustiche mediante rumori di tacchi, parte sbattute, tapparelle alzate ed abbassate a tutte le ore.
Ricorrendo in Cassazione, il ricorrente vicino di casa lamentava l'inosservanza e l'erronea applicazione della legge penale, in quanto il legislatore non avrebbe codificato la scriminante di tali condotte, qualificando solo il comportamento dell'imputato come molestia. Inoltre, non sarebbe emerso alcun comportamento illecito o violazione del regolamento condominiale posto in essere dal ricorrente. Con memoria difensiva, l'imputato deduceva l'inammissibilità del ricorso delle parti civili, non avendo le stesse alcuna possibilità di impugnare la sentenza di assoluzione di primo grado, con una rivalutazione dei dati probatori acquisiti. Inoltre, con riferimento alla motivazione della sentenza, il giudice avrebbe evidenziato che la condotta non comportava una disapprovazione per la futilità del motivo che l'ha originata e, pertanto, difetterebbe un elemento costitutivo del reato.
Il condòmino eccepisce, inoltre, la prescrizione del reato intervenuta nelle more del processo, in quanto la condotta contestata sarebbe cessata il 2 ottobre 2011 e sarebbero trascorsi più di cinque anni.
Per la Cassazione, il ricorso delle parti civili è fondato e ammissibile. L'art. 599 comma secondo cod. pen. prevede una condizione di non punibilità, al punto da escludere conseguenze penali per la reazione della vittima, quando si viene a delineare una peculiare situazione soggettiva di tipo emotivo, apprezzata dal legislatore in termini di inesigibilità. L'esimente ha, di conseguenza, dei precisi limiti oggettivi e soggettivi indicati dalla norma e non appare suscettibile di applicazione analogica. Per l'applicabilità dell'esimente, occorre che la reazione sia conseguenza di un fatto che, per la sua intrinseca illegittimità o per la sua contrarietà alle norme del vivere civile, abbia in sé la potenzialità di suscitare un giustificato turbamento nell'animo dell'agente, anche in assenza di proporzione fra la reazione ed il fatto ingiusto altrui. Il Collegio ha, tuttavia, ritenuto che la reazione della vittima di tale condotta abbia la rilevanza esimente voluta dalla norma solo quando integri i reati di ingiuria o diffamazione. Non è ammissibile, perciò, l'estensione analogica della scriminante, come è stato ritenuto nella sentenza impugnata, in modo da comprendere pure il reato di molestia o di disturbo alle persone. D'altronde, confligge con tale interpretazione la stessa ratio e la struttura della scriminante, per la particolare considerazione data dal legislatore allo stato d'ira determinato dal fatto ingiusto altrui, subito dopo che esso si è verificato.
Solo nel momento in cui viene percepito e immediatamente dopo tale istante, il fatto ingiusto altrui può avere rilevanza, esentando da pena colui che, in uno stato psicologico d'ira, reagisce. Il requisito della immediatezza è stato introdotto per non confondere la provocazione con la vendetta. Il legislatore, attraverso la previsione nell'art. 660 cod. pen. di un fatto recante molestia alla quiete di un privato, ha inteso tutelare anche la tranquillità pubblica per l'incidenza che il suo turbamento ha sull'ordine pubblico, data l'astratta possibilità di reazione delle persone offese. Di fronte ad un comportamento reiterato o prolungato nel tempo che si concretizza in semplici rumori molesti, si è oltre l'ambito ristretto in cui il legislatore ha dato eccezionale rilevanza esimente a uno stato emotivo momentaneo che, per la sua improvvisa intensità, comprime la capacità di ponderazione e controllo delle proprie scelte di condotta. La sentenza impugnata, pertanto, lungi dal considerare assente un elemento costitutivo del reato di molestie, ha incentrato la propria decisione sulla ritenuta estensione analogica della speciale causa di non punibilità.
La Cassazione ha, perciò, annullato la sentenza impugnata agli effetti civili, rinviandola al giudice civile competente per valore in grado di appello.

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