Condominio

Condòmino responsabile se l’inquilino subloca all’affittacamere

di Selene Pascasi

Nei confronti dei condòmini, chi abbia locato l'appartamento a terzi risponde sia delle violazioni al regolamento commesse personalmente che di quelle consumate, ripetutamente, dal suo inquilino. Ciò, salvo che non riesca a provare di aver posto in essere tutte le iniziative possibili per far cessare gli abusi. Lo ribadisce il Tribunale di Milano, con sentenza n. 1947 del 21 febbraio 2018 (giudice Caterina Spinnler) . Promuove la causa un condominio. Il motivo? Il fatto che una condomina aveva dato in locazione il proprio alloggio, ad uso abitativo, ad una società per azioni concedendole la facoltà di sublocarlo. La ditta, però, sfruttando l'opportunità, aveva “trasformato” la casa – stipulando dei contratti di sublocazione – in una vera e propria attività di affittacamere. Palese, per il condominio, la violazione delle norme che vietavano di esercitare nello stabile attività alberghiere. Di qui, la richiesta tesa ad ottenere la condanna della società e della padrona di casa, all'immediata cessazione dell'utilizzo illecito dell'immobile. La s.p.a. nega la contestata destinazione dell'appartamento di cui, sottolinea, aveva sublocato solo alcune stanze, come consentito dal contratto e la locatrice, dal canto suo, respinge ogni responsabilità per la condotta dell'inquilina. Il Tribunale non concorda con la proprietaria ma, nel contempo, respinge la pretesa del condominio. La donna, marca, è legittimata passivamente a rispondere della domanda tesa all'accertamento della violazione delle regole condominiali da parte della conduttrice e alla conseguente condanna alla cessazione dell'uso scorretto del bene. Del resto, evidenzia il giudice, il titolare di un immobile sito all'interno di un condominio è vincolato al rispetto della disciplina comune ed è «responsabile di fronte alla collettività condominiale della violazione del regolamento anche se operata dal conduttore del suo bene» essendo tenuto ad imporgliene l'osservanza. Egli, dunque, risponderà verso tutti gli altri condomini delle ripetute infrazioni al regolamento perpetrate dall'inquilino, a meno che non provi di aver adottato ogni misura idonea (in relazione alle circostanze e all'ordinaria diligenza) a far cessare gli abusi, prospettando, ad esempio, l'anticipata cessazione del contratto (Cass. 11383/2006). Ecco che, infrante le regole comuni, il condominio potrà richiedere «la cessazione della destinazione abusiva sia al conduttore che al proprietario locatore» (Cass. 11859/2011). Il proprietario, poi, sarà litisconsorte necessario con l'inquilino anche in caso di domanda rivolta solo al secondo. Di contro, nel caso in cui venga citato unicamente il proprietario, l'inquilino non sarà a sua volta “trascinato” a giudizio. Tanto chiarito, il Tribunale si sofferma sul merito della causa e boccia la pretesa avanzata dal condomino. È vero, spiega, che i singoli alloggi sono destinati all'uso del condomino, dei suoi famigliari, del personale di servizio da esso dipendente e degli inquilini nei limiti in cui è ammessa la locazione. Ed è anche vero che sussiste il divieto di tenere locande o pensioni o di esercitare, in casa, nei solai o nei boxes, attività imprenditoriali (officine, depositi). Tuttavia, la vicenda necessitava di un approccio diverso, laddove – vertendo le accuse sullo svolgersi di “mestieri” vietati (affittacamere o simili) – snodo fondamentale era proprio l'esatta definizione di tali occupazioni. Decisive, le testimonianze da cui risultava che il canone versato alla società copriva la locazione della stanza, l'uso delle parti comuni (bagno e cucina) e le spese di utenza e accesso ad internet. Non erano compresi, però, servizi ulteriori di pulizia o cambio biancheria. Particolari che il giudice non poteva non valutare. L'attività di affittacamere, infatti, pur differenziandosi da quella alberghiera per le sue modeste dimensioni, richiede non solo la cessione del godimento di locale mobiliato e provvisto delle necessarie somministrazioni (luce, acqua), ma anche la prestazione di servizi personali, tra cui il riassetto della stanza e la fornitura dei ricambi. Quella in questione, allora, mancando la prestazione di servizi di “ospitalità”, non poteva dirsi attività di affittacamere. Anche la durata contrattuale, poi, era compatibile al massimo con una locazione transitoria ma non con una alberghiera. Comunque, si conclude in sentenza, l'attività di affittacamere, a ben vedere, non risultava espressamente preclusa dalle norme condominiali, riferendosi il divieto – non interpretabile estensivamente, poiché recante limiti alle facoltà spettanti al proprietario – soltanto all'attività di pensione o di locanda, implicanti la fornitura del vitto e non ad altre attività similari. Respinta, così, la pretesa del condominio.

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