Condominio

Regolamento di condominio: serve davvero la trascrizione delle singole clausole?

di Donato Palombella


Un condomìnio chiede al Tribunale di dichiarare illegittimo il cambio di destinazione, da abitazione ad albergo-affittacamere, posto in essere da un condòmino in quanto tale attività sarebbe vietata dal regolamento di condomìnio che impedisce «usi diversi da quelli di civile abitazione» degli alloggi. Il condòmino si difende sottolineando di non conoscere la clausola richiamata dal condomìnio e, nelle battute finali del giudizio, sottolinea che la clausola regolamentare invocata dal condomìnio non era trascritta autonomamente. Tribunale e Corte d'appello ritengono tardiva l'eccezione relativa alla mancata trascrizione della clausola regolamentare e, di conseguenza, accolgono le ragioni del condomìnio. Il condòmino-albergatore non si arrende e la controversia viene sottoposta alla Cassazione chiamata a decidere sugli effetti della mancata trascrizione della clausola contenuta nel regolamento di condominio che vieta un "uso diverso da quello di civile abitazione".

I limiti alla proprietà rientrano nelle servitù atipiche
La Sezione II civile della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6769 del 19 marzo 2018 ricorda, in primo luogo, che la clausola contenuta nel regolamento di condominio con cui viene imposto un limite all'uso delle proprietà private (per esempio vietando, come nel caso in esame, che l'appartamento possa essere destinato ad "affittacamere") deve essere interpretata come una servitù atipica. Questo vuol dire che tale clausola, per essere opponibile ai terzi, deve seguire le stesse regole dettate per la costituzione delle servitù e, quindi, deve essere trascritta in apposita nota distinta da quella dell'atto di acquisto.

La legge 52/1985 richiede un specifica nota di trascrizione
Si ricorda, al riguardo, che la legge 52 del 27 febbraio 1985 (che disciplina le conservatorie dei registri immobiliari e le formalità da compiere per le trascrizioni) prevede letteralmente che "ciascuna nota non può riguardare più di un negozio giuridico o convenzione oggetto dell'atto di cui si chiede la trascrizione, l'iscrizione o l'annotazione." In altre parole, non è sufficiente allegare al primo atto definitivo di vendita il regolamento contrattuale, bensì è necessario procedere alla trascrizione del regolamento mediante una "nota di trascrizione" distinta e separata (Cassione, Sezione II, sentenza n. 21024 del 18 ottobre 2016; Cassazione, Sezione II, sentenza n. 17493 del 31 luglio 2014). Occorre sottolineare, al riguardo, che è soggetto all'obbligo della trascrizione non tanto il regolamento condominiale nella sua globalità, quanto le singole clausole contenenti limiti alla proprietà privata, in quanto sono le singole clausole che costituiscono la servitù e che richiedono la trascrizione.

Quando il regolamento è predisposto dal costruttore-venditore
Un passo della sentenza risulta particolarmente interessante in quanto detta le regola applicabili al regolamento condominiale predisposto dal costruttore-venditore. In tale ipotesi, secondo la Cassazione «con le note di trascrizione del primo atto di acquisto di un'unità immobiliare ivi compresa e del vincolo reale reciproco, si determina l'opponibilità di quelle servitù, menzionandovi tutte le distinte unità immobiliari, ovvero ciascuno dei reciproci fondi dominante e servente. All'atto dell'alienazione delle ulteriori unità immobiliari, il regolamento andrà ogni volta richiamato o allegato e dovrà eseguirsi ulteriore trascrizione per le servitù che man mano vengono all'esistenza, fino all'esaurimento del frazionamento della proprietà originariamente comune».
Detto in altre parole, non è sufficiente trascrivere il primo atto di vendita "depositando" il regolamento di condominio, ma è necessaria una nota di trascrizione che identifichi le singole unità immobiliari come "fondo dominante" e "fondo servente"; successivamente, in occasione delle vendite delle altre unità immobiliari, non sarà sufficiente "richiamare" il regolamento di condominio, ma sarà necessaria una ulteriore trascrizione per le servitù.

Gli effetti della mancata trascrizione
Cosa succede se non abbiamo seguito le regole dettate dalla Cassazione? In assenza della trascrizione delle singole servitù, le clausole che impongono limiti alla proprietà possono essere fatte valere solo nei confronti del (primo) acquirente che le abbia accettate ma non nei confronti dei terzi. Poniamo il caso che il costruttore venda un appartamento al sig. Rossi e questo accetti contrattualmente un limite alla proprietà (per esempio accerti che, all'interno dell'immobile, non possa essere esercitata l'attività di affittacamere). Successivamente, il sig. Rossi vende l'immobile al sig. Bianchi. Sta di fatto che, in mancanza della trascrizione della singola clausola, i limiti alla proprietà potranno essere fatti valere solo nei confronti del sig. Rossi (primo acquirente) e non (anche) nei confronti del sig. Bianchi a meno che quest'ultimo, nell'atto definitivo di vendita, non ne prenda atto in maniera specifica. Inutile dire che questa interpretazione tutela certamente l'acquirente che deve essere posto nelle condizioni di capire esattamente cosa sta comprando ma, d'altra parte, costituisce una ulteriore barriera per il mercato immobiliare. Non bisogna dimenticare, infatti, che le trascrizioni costano (e non poco) per cui se dovessimo trovarci di fronte ad un complesso immobiliare composto da decine di unità immobiliari, bisognerà fare bene i propri conti.

Il giudice può rilevare d'ufficio la mancata trascrizione?
La questione in esame presenta una ulteriore complicazione: il condòmino denuncia la mancata trascrizione delle clausole limitative della proprietà solo con le comparse conclusionali per cui occorre stabilire se vi siano delle preclusioni procedimentali in tal senso. In proposito, sono sorti due orientamenti. In origine, la giurisprudenza affermava che il difetto di trascrizione non poteva essere rilevato d'ufficio dal giudice ma poteva essere sollevato dalla parte all'interno dei termini processuali per delineati. Ed è questo il filone seguito dal Tribunale e dalla Corte d'appello che hanno ritenuto l'eccezione tardiva.
La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, segue un diverso filone interpretativo e ritiene che la mancata trascrizione della clausola limitativa della proprietà non solo possa essere rilevata anche d'ufficio, dal giudice (Cassazione, Sezioni Unite , sentenza n. 15661 del 27 luglio 2005; Sezione III, sentenza n. 13335 del 30 giugno 2015; sentenza n. 18602 del 5 agosto 2013; sentenza n. 24680, 24 novembre 2009), ma possa essere sollevata anche in appello (Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 10531 del 7 maggio 2013). Sulla base di questi presupposti, la Cassazione rinvia nuovamente la causa alla Corte d'appello affinché giudichi la controversia applicando il seguente principio di diritto: «La questione relativa alla mancata trascrizione di una clausola del regolamento di condominio, contenente limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, ed alla conseguente inopponibilità di tali limiti ai terzi acquirenti, non costituisce oggetto di un'eccezione in senso stretto, quanto di un'eccezione in senso lato, sicché il suo rilievo non è subordinato alla tempestiva allegazione della parte interessata, ma rimane ammissibile indipendentemente dalla maturazione delle preclusioni assertive o istruttorie».

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