Condominio

Quando viene chiamato in causa l’amministratore precedente

di Valeria Sibilio


Nelle contestazioni giudiziarie, che scaturiscono dai rapporti tra condominio ed amministratore, maggiori difficoltà si riscontrano quando quest'ultimo vi viene coinvolto nonostante fosse stato, in precedenza, revocato dal suo incarico. La sentenza della Cassazione n°6550 del 2018 ha esaminato un caso originato dal ricorso in primo grado di un condominio , il quale conveniva in giudizio il suo precedente amministratore, e una società che aveva effettuato lavori nel condominio stesso. Quest'ultimo proponeva opposizione al decreto ingiuntivo di euro 6.820,00, richiesti dalla convenuta per i lavori effettuati. Secondo il condominio, l'amministratore aveva agito violando la delibera dell'assemblea condominiale che aveva istituito una commissione per valutare le offerte e deliberare sulle stesse e sull'incarico per l'esecuzione dei lavori. Per cui, la somma richiesta non era dovuta o, comunque, avrebbe dovuto essere corrisposta dal precedente amministratore. La società si costituiva in giudizio, contestando l'opposizione e chiedendone il rigetto. Inoltre, chiedeva che il precedente amministratore fosse condannato al pagamento della somma in questione.
Si costituiva quest'ultimo, eccependo l'inammissibilità dell'opposizione e chiedendo la condanna del condominio al pagamento della somma di euro 2.593,93 a titolo di compenso e di rimborso spese anticipate. Il Tribunale dichiarava inammissibile la domanda proposta dalla società nei confronti dell'amministratore, mentre corretta la manleva, proposta avverso quest'ultimo, dal condominio.
Per i Giudici, la perizia effettuata aveva accertato l'esecuzione delle opere, da parte della società, in coerenza con il deliberato dell'assemblea condominiale, pur se incomplete in ordine alla sicurezza. Revocando, perciò, il decreto ingiuntivo, condannava il condominio al pagamento della somma di euro 3.820,40, compensando per metà le spese di giudizio tra la società ed il condominio, ponendo la restante metà a carico di quest'ultimo. Compensava, inoltre, per metà le spese sostenute dall'amministratore, mentre la restante parte era posta a carico del Condomino e della società.
La Corte di secondo grado respingeva l'appello del condominio, in quanto nessun addebito poteva esser mosso all'amministratore cessato, né posta a suo carico la somma richiesta dalla società. Somma che, invece, doveva essere pagata dal condominio, essenzialmente perché l'amministratore aveva effettuato i lavori in esecuzione di una delibera comunale che assegnava un termine di trenta giorni per la loro esecuzione ed al tempo stesso non aveva avuto la possibilità di richiedere la ratifica del proprio operato perché revocato dal suo incarico. Pertanto, mentre le spese necessarie per i lavori, nella misura disposta dal Tribunale, erano a carico del condominio, nessun addebito poteva esser rivolto all'amministratore.
Nel ricorso in Cassazione, il condominio sosteneva che la Corte distrettuale, ponendogli a carico le spese legali del secondo grado del giudizio, non avrebbe tenuto conto che risultava accertata in pieno la ragione di opposizione al decreto ingiuntivo da parte del Condominio e che la società era, comunque, sul punto totalmente soccombente a prescindere dalla diversa questione della riferibilità o meno al Condominio stesso del pagamento dei lavori straordinari, in quanto eseguiti dall'amministratore in violazione dell'assemblea condominiale. Motivo giudicato inammissibile, non solo perché non indicava le norme che la Corte distrettuale avrebbe violato ma soprattutto, perché censura, anche in modo generico, la valutazione effettuata posta a fondamento della decisione di condannare il Condominio al pagamento delle spese di lite.
Il ricorrente si lamentava, inoltre, del fatto che la Corte di merito avesse ritenuto esente da responsabilità il precedente amministratore in quanto quest'ultimo non avrebbe dovuto disattendere la deliberazione condominiale e, comunque, avrebbe dovuto rispondere dei maggiori costi e delle spese legali provocate dal suo comportamento.
La Cassazione ha giudicato questo motivo inammissibileQuan, in quanto finalizzato ad ottenere la revisione del giudizio decisorio congruamente e razionalmente sviluppato dal giudice di appello e perfettamente percepibile nel suo itinerario logico e semantico, senza che risulti alcun mancato od insufficiente esame dei punti rilevanti della controversia.
La Corte ha, perciò, rigettato il ricorso, condannando il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione, liquidate in euro 2.700,00, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% dei compensi ed accessori come per legge.

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