Condominio

Negare la veduta sulla «chiostrina» interna da parte del vicino

di Rosario Dolce

L'interesse ad agire per la negazione di una servitù sorge quando venga posta in essere dal terzo un'attività implicante in concreto l'esercizio, che si assume abusivo, di una servitù a carico del fondo di proprietà di colui che agisce. In tal caso, trova applicazione l'articolo 949 del Codice civile, a mente del quale: “Il proprietario può agire per far dichiarare l'inesistenza di diritti affermati da altri sulla cosa, quando ha motivo di temerne pregiudizio. Se sussistono anche turbative o molestie, il proprietario può chiedere che se ne ordini la cessazione, oltre la condanna al risarcimento del danno”.
Sulla base di tale presupposto normativo la Corte di Cassazione con Sentenza nr 4586 pubblicata in data 16 marzo 2018 ha affermato il diritto del proprietario di una chiostrina di inibire ai proprietari degli edifici limitrofi l'apertura avanti ad essa di finestre o balconi, sì da esercitare una servitù di veduta.
Il caso da cui prende spunto la vicenda riguarda la titolarità di una «chiostrina» interna, apparentemente comune a diversi edifici privati.
In particolare, i titolari originari del primo fabbricato hanno chiesto di impedire ai propri vicini - in quanto proprietari degli edifici limitrofi, laddove sopraelevati (avanti la predetta chiostrina) - il diritto a realizzare delle aperture con affacci su di esso. Quest'ultimi, invece, hanno dedotto di essere titolari, a loro volta, di un diritto reale sulla chiostrina, limitandosi, tuttavia, a contestare il diritto principale esercitato dalla rispettiva controparte.
Dopo l'esito alterno di due gradi di giudizio la vicenda è approdata in Cassazione. In questa sede i giudici di legittimità hanno riflettuto sulla portata dell'azione processuale di cui al citato articolo 949 codice civile. L'argomentazione addotta sul merito assume rilievo e merita di essere enfatizzata, specie con riferimento al corretto bilanciamento dell'onere probatorio.
Dal tenore del provvedimento, invero, si ricava che, in tema di actio negatoria servitutis, poiché la titolarità del bene si pone come requisito di legittimazione attiva e non come oggetto della controversia, la parte che agisce non ha l'onere di fornire, come nell'azione di rivendica, la prova rigorosa della proprietà – neppure quando abbia chiesto la cessazione della situazione antigiuridica posta in essere dall'altra parte – essendo sufficiente la dimostrazione, con ogni mezzo, ed anche in via presuntiva, di possedere il fondo in forza di un titolo di proprietà.
Dall'altra parte, al convenuto di una simile azione incombe l'onere di provare l'esistenza del diritto a lui spettante di compiere l'attività lamentata come lesiva dall'attore, in virtù di un rapporto di natura obbligatoria o reale.
Ora, sulla base degli affermati principi, la Corte di Cassazione, con la pronuncia in disamina, ha accolto le ragioni degli “assunti” proprietari della chiostrina che avevano agito per prima e respinto, di contro, il ricorso formulato dai rispettivi vicini, laddove si sono limitati soltanto a lamentare il mancato raggiungimento della prova sulla relativa proprietà, omettendo di dimostrare, a sua volta, la titolarità del proprio diritto reale od obbligatorio.

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