Condominio

La causa per tutelare un bene non si blocca per il disaccordo di un comproprietario

di Edoardo Valentino

Con sentenza del 17 luglio 2009 il Tribunale di Frosinone accoglieva la domanda di un soggetto il quale, comproprietario di un terreno, aveva domandato la liberazione dello stesso da un muro di cinta realizzato dalle parti convenute e la riduzione in pristino di una platea di fondazione edificata sullo stesso fondo.
Vista la soccombenza i convenuti adivano la Corte d'Appello competente.
I giudici del riesame, all'esito del giudizio, sovvertivano l'esito del processo di prime cure.
In particolare la Corte rilevava come l'altro comproprietario del terreno (titolare di una quota maggiore rispetto all'attore) non condividesse l'iniziativa processuale dell'attore.
Il comproprietario, infatti, era intervenuto in causa a seguito del decesso del proprio padre, che era uno dei convenuti.
Il giudice, quindi, aveva prospettato che ai sensi dell'articolo 1105 del Codice Civile il dissenso dell'altro comproprietario fosse valido a paralizzare l'azione giudiziaria dell'attore.
La parte attrice, quindi, ricorreva in Cassazione per ottenere la riforma della decisione d'appello.
La Corte di Cassazione, con sentenza numero 4336 pronunciata dalla Seconda Sezione Civile in data 22 febbraio 2018, accoglieva il ricorso proposto .
La Corte, in particolare, affermava come (conformemente a quanto evidenziato nel ricorso della parte attrice) nel caso in questione l'applicazione dell'articolo 1105 del Codice Civile non fosse pertinente, dovendo piuttosto farsi riferimento all'articolo 1102 c.c.
Tale norma afferma al primo comma che “ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto” e secondo la Corte “ciascun comproprietario, in quanto titolare di un diritto che, sia pure nei limiti segnati dalla concorrenza dei diritti degli altri partecipanti, investe l'intera cosa comune e non una frazione della stessa, è legittimato ad agire o resistere in giudizio, anche senza il consenso degli altri, per la tutela della cosa comune, nei confronti del terzo o di un singolo condomino”.
Aveva errato quindi la Corte d'Appello nel considerare che il proprietario di un bene in comunione non avesse autonomo diritto di agire in giudizio a tutela dell'integrità dello stesso.
Tali principi, peraltro, erano frutto della costante giurisprudenza della Cassazione che in altre decisioni aveva deciso in modo conforme (si vedano ad esempio Cassazione civile, sez. VI, 28 gennaio 2015, numero1650 e Cassazione civile, sez. VI, 16 gennaio 2013, numero 1009).
Contrariamente a quanto affermato dalla Corte d'Appello – quindi – il dissenso del proprietario non influisce sul diritto del soggetto di agire in giudizio al fine di ottenere il ripristino della cosa comune nella sua integrità.
Alla luce di tali principi la Suprema Corte cassava la sentenza impugnata e rinviava il giudizio ad altra sezione della Corte d'Appello.

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