Deroga alle spese comuni possibile con l’unanimità
Nei condomìni, le spese comuni - ossia quelle necessarie alla conservazione e al godimento delle parti comuni dell’edificio, quelle per la prestazione dei servizi nell’interesse comune - sono ripartite tra i proprietari in base ai rispettivi millesimi, indipendentemente dall’uso che ciascun condomino può farne. A tal riguardo, infatti, non incide sulla divisione delle spese condominiali il fatto che un’unità immobiliare sia adibita a studio professionale piuttosto che a privata abitazione. A tal proposito, la Cassazione con sentenza 13161/91 - orientamento ormai consolidato – ha stabilito che «ai fini della determinazione dei criteri di ripartizione delle spese si deve avere riguardo all'uso che ciascun partecipante può farne e cioè al godimento potenziale, e non al godimento effettivo, e, quindi, non all'uso che effettivamente ne faccia o non ne faccia». Pertanto, occorre avere riguardo non all'uso effettivo ma a quello potenziale, a nulla rilevando che un condomino, pur potendo usare un bene comune, si astenga dal farlo, o che un altro condomino ne faccia un uso particolarmente intenso. Tuttavia, la ripartizione della spesa di un bene comune in considerazione della sua maggiore e/o minore utilizzazione da parte di una “categoria” di condomini, può essere prevista nel regolamento contrattuale (predisposto dall’originario proprietario), ovvero attraverso un accordo preso all’unanimità tra tutti i condomini. A tal riguardo, la Cassazione con sentenza 6714/2010 ha previsto che «le delibere delle assemblee di condominio aventi ad oggetto la ripartizione delle spese comuni, con le quali si deroga una tantum ai criteri legali di ripartizione delle spese medesime, ove adottate senza il consenso unanime dei condomini, sono nulle».Pertanto, da quanto appena ricordato, emerge che criteri di spesa diversi da quelli previsti dal Codice civile possono essere derogati solo dal regolamento contrattuale, ovvero all’unanimità dei condomini.