Condominio

Per usucapire il sottotetto bisogna chiamare in causa tutti i condòmini

di Valeria Sibilio

Non ottemperare all'integrazione del contraddittorio, nei confronti di litisconsorti necessari, comporta l'inammissibilità del ricorso su un’usucapine di parte comune. È quanto è emerso dall'ordinanza 5328 del 2018, nella quale la Cassazione ha esaminato il caso di due condòmini che avevano proposto ricorso contro la sentenza della Corte di secondo grado, la quale aveva dichiarato inammissibile il loro appello a sentenza del Tribunale che aveva negato l'usucapione del sottotetto del loro condominio.
Per la Corte di appello, gli appellanti non avevano ottemperato all'integrazione del contraddittorio nei confronti di litisconsorti necessari e ciò aveva precluso l'esame del merito.
La parte ricorrente denunciava, nel proprio ricorso, la nullità della sentenza in quanto, sin dal primo grado, il giudizio avrebbe dovuto svolgersi nel contraddittorio di tutti i condòmini.
Per la Cassazione il ricorso è apparso infondato. Appurata la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di litisconsorti necessari, si è riconosciuta, nella sostanza, l'esistenza di detto litisconsorzio senza considerare che la mancata ottemperanza al provvedimento del giudice, anche in relazione alle nuove regole del giusto processo e della necessità di non dilatarne i tempi, comporta l'inammissibilità del gravame.
Gli odierni ricorrenti avevano riconosciuto che la causa era stata avviata per accertarsi che i locali sottotetto fossero condominiali e che in via riconvenzionale avevano eccepito la proprietà esclusiva, ma prospettavano un profilo diverso da quello esaminato dalla Corte di appello che aveva disposto la rinnovazione della citazione nei confronti degli altri condòmini da parte degli appellanti e la citazione degli eredi.
Le parti sono state, perciò, invitate a prendere posizione sulla regolarità del contraddittorio. Peraltro, i ricorrenti riconoscevano che, in primo grado, gli attori avevano integrato il contraddittorio nei confronti dei ventuno condòmini rimasti contumaci ma deducevano che, fin dal primo grado, la legittimazione passiva spettava ad un condòmino piuttosto che ad un altro. La Corte di appello riferiva della nullità dell'atto di chiamata in causa di litisconsorti necessari e della inesistenza rispetto sia all'erede di una condòmina che ad un secondo soggetto il quale, imputando agli appellanti di non aver usato la normale prudenza e diligenza nella ricerca anagrafica, negava di essere erede di una ulteriore condòmina. Su quest'ultima posizione non è stata formulata alcuna censura, per cui la doglianza è risultata inidonea alla riforma della sentenza. Il prospettato non integro contraddittorio in primo grado poteva essere affrontato in appello ove si fosse ottemperato dagli appellanti all'ordinanza a loro carico, né si è censurata la mancata concessione di un termine in tal senso. In ogni caso, si aveva l'onere di indicare e produrre gli atti a fondamento del ricorso.
La Cassazione ha, perciò, rigettato il ricorso, condannando i ricorrenti alle spese liquidate in euro 3.200,00 di cui euro 200,00 per spese vive, oltre accessori e spese forfettarie nel 15%.

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