Condominio

Il costruttore-committente risponde dei difetti dell’opera

di Selene Pascasi

Risponde dei gravi difetti dell'opera anche il costruttore-committente che si sia avvalso di terzi per la costruzione, purché questa sia a lui riferibile in tutto o parzialmente, per aver partecipato in autonomia decisionale, mantenendo il potere di sorveglianza o quello di impartire direttive. Lo segnala la la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 4055 depositata il 20 febbraio 2018. La questione parte da un ricorso promosso da un'immobiliare avverso la decisione dei giudici di appello di confermare la sentenza con cui il Tribunale dichiarava responsabile una società edilizia sua incorporata per i danni subìti da un condominio, accogliendo altresì la domanda di manleva nei confronti della ditta esecutrice, anch'essa inglobata dalla ricorrente. Secondo i giudici, la committente e dante causa dello stabile condominiale doveva rispondere, ai sensi dell'articolo 1669 del Codice civile, per gli inconvenienti procurati al condominio acquirente dai riscontrati vizi di costruzione. L'immobiliare, però, respinge l'addebito sia per carenza d'interesse per aver incorporato le due società in questione così “smorzandone” il conflitto di posizione, che per una ragione di merito. Il contratto di appalto con cui la venditrice aveva incaricato un'altra ditta di procedere ai lavori, la teneva indenne da responsabilità. O meglio, i giudici avrebbero dovuto accertare se il committente – affidata ad altri la costruzione dell'immobile – avesse, o meno, mantenuto il potere di direttiva o di controllo sull'operato dell'esecutrice. Motivi entrambi bocciati. Intanto, precisa la Cassazione, a prescindere dal supposto cessato dualismo venditore-costruttore come conseguenza della fusione, quel che permaneva era la contrapposizione originaria condominio-venditore. Quanto, poi, al nodo della controversia, è pacifico – annota – come l'articolo 1669 del Codice civile configuri «una responsabilità extracontrattuale di ordine pubblico, sancita per finalità di interesse generale, che trascende i confini dei rapporti negoziali tra le parti». Ecco che l'azione ivi prevista potrà essere esercitata non solo dal committente contro l'appaltatore ma anche dall'acquirente contro il venditore che abbia costruito l'opera sotto la propria responsabilità. Ciò, sempre che abbia assunto nei confronti di terzi e degli acquirenti una posizione di «diretta responsabilità nella costruzione dell'opera» e che – precisa Cassazione 9370/2013 – si parli di «gravi difetti i quali, al di fuori dell'ipotesi di rovina ed evidente pericolo di rovina, pur senza influire sulla stabilità dell'edificio, pregiudicano o menomano in modo rilevante il normale godimento, la funzionalità o l'abitabilità del medesimo». Sul punto, è recente l'intervento con cui la Corte d'appello di Napoli ha sancito (sentenza 50/2018) la responsabilità dell'appaltatore per rovina e gravi difetti dell'opera venduta anche per alterazioni (nella fattispecie, mancata impermeabilizzazione) inerenti elementi secondari e accessori ma comunque idonei ad incidere sul godimento e sul normale utilizzo del bene. Ad ogni modo, la norma civilistica verrà ad applicarsi sia nei casi in cui il venditore abbia provveduto alla costruzione con propria gestione di uomini e mezzi e sia quando – pur avendo fruito del lavoro di terzi – la costruzione sia a lui riferibile in tutto o parzialmente, per avervi partecipato «in posizione di autonomia decisionale, mantenendo il potere di coordinare lo svolgimento dell'altrui attività o di impartire direttive o di sorveglianza» purché la rovina o i difetti – ricorda Cassazione 16202/2017 – «siano riconducibili all'attività da lui riservatasi». Così, anche laddove abbia incaricato altri della costruzione di un immobile da destinarsi a vendita successiva a terzi, intera o frazionata, appaltando l'opera a un'impresa edile, egli resterà inevitabilmente tenuto alla garanzia prevista dall'articolo 1669 del Codice civile. Situazione verificatasi nella vicenda, vista la qualità di “costruttore-committente” dello stabile della venditrice la quale, rileva la Corte, aveva conservato il «potere di impartire direttive e/o comunque, un potere di sorveglianza». Conclusioni ferme, a prescindere dal rilievo – evidenziato ma non supportato da riscontri – per cui il contratto di appalto avrebbe provato l'estraneità al processo edificatorio e, pertanto, la piena autonomia della società che materialmente aveva realizzato l'opera. E' alla luce dei rilievi esposti, dunque, che la Cassazione ha rigettato ad ampio raggio il ricorso promosso.

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