Condominio

Per le spese valgono sempre i millesimi, anche se manca la tabella

di Selene Pascasi

La mancanza di tabelle millesimali non giustifica la pari ripartizione di un credito condominiale. Salvo diversa convenzione, infatti, la somma andrà divisa in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascun condomino. Lo afferma la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 4259 del 18 gennaio 2018 . Protagonista, un avvocato costretto ad ingiungere al proprio condominio il pagamento delle spese di lite maturate per l'attività svolta in suo favore e mai ricevute. Ma l'assemblea – vista l'assenza di tabelle millesimali – delibera di spartire il dovuto in parti uguali fra tutti i condòmini, incluso il professionista. Di qui, la decisione del legale di portare il caso sul tavolo del Giudice di Pace il quale, però, boccia la pretesa per motivi strettamente procedurali. Prevedibile, l'appello al Tribunale che, tuttavia, non ribalta le sorti del processo: è legittima – scrive – la ripartizione in quote paritarie delle spese di soccombenza derivanti dal decreto ingiuntivo non opposto «non esistendo tabelle millesimali e non essendo applicabile l'art. 1132 c.c.» non avendo il condominio deliberato di resistere alla domanda monitoria. Tesi respinta, invece, dalla Cassazione chiamata a pronunciarsi su ricorso del legale. Nell'ipotesi in cui vi sia stata una condanna giudiziale definitiva del condominio in persona dell'amministratore «al pagamento di una somma di denaro in favore di un creditore della gestione condominiale» – come nella fattispecie – la ripartizione tra i condòmini degli oneri derivanti da tale condanna «va fatta alla stregua dei criteri dettati dall'art. 1123 c.c., salvo diversa convenzione». Sul punto, del resto, precedente giurisprudenza era già intervenuta a chiarire che la mancata predisposizione di tabelle millesimali non autorizza l'assemblea ad optare per un criterio divisionale diverso da quello proporzionale (tra le altre, si annoti Cassazione n. 1959/2001. Nell'occasione si marcò, inoltre, come nell'evenienza di condanna del condominio al risarcimento del danno subìto da un terzo per carente manutenzione di un bene che si assume comune soltanto ad alcuni dei proprietari dei piani o appartamenti siti nell'edificio – cosiddetto condominio parziale – non sia preclusa al singolo l'azione volta ad ottenere l'applicazione delle condizioni per lui favorevoli di ripartizione indicate dal codice). Non può accogliersi, quindi, proseguono i giudici di legittimità, una spartizione del credito condominiale difforme da quella statuita nella norma, solo perché decisa a maggioranza dall'assemblea. Semmai, rileva Cassazione n. 10081/2013, andrà conferito al giudice il compito di dividere l'entità del contributo dovuto da ciascuno «conformemente ai criteri di ripartizione derivanti dai valori delle singole quote di proprietà». Ecco che la delibera di ripartizione in parti uguali degli oneri derivanti dalla condanna del condominio, adottata a maggioranza e non all'unanimità, derogando il disposto civilistico, non potrà che ritenersi nulla. All'assemblea, d'altronde, non è consentito, con decisione resa a maggioranza, di dividere con criterio “capitario” gli oneri necessari per la prestazione di servizi nell'interesse comune (Cassazione, sentenza n. 27233 del 4 dicembre 2013). Infine, si conclude, non poteva esigersi dal ricorrente la contribuzione alle spese legali sostenute dal condominio per il suo compenso, non potendosi estendere neanche in via analogica ad una tale evenienza – lo ribadiva Cassazione n. 13885/2014 – gli articoli 1132 e 1101 del Codice civile circa il dissenso dei condomini rispetto alle spese di lite e la presunzione di un pari concorso dei partecipanti.

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