Condominio

Terrazzo comune: è il giudice di merito a decidere se sono leciti gli interventi «privati»

di Valeria Sibilio


L'aver dato luogo ad interventi che, per la loro natura, abbiano modificato la consistenza di un bene comune, è spesso causa di diatribe condominiali per le quali occorre avviare procedimenti giudiziari che sanciscano l'interpretazione giuridica dei fatti. Nell'ordinanza 4256 del 2018 (relatore Antonio Scarpa) , la Cassazione ha esaminato un caso nel quale due condòmine convenivano, in primo grado, un gruppo di alltri condòmini, chiedendo il riconoscimento del loro diritto di uso esclusivo – per avvenuta usucapione - del terrazzo sovrastante l'unità immobiliare di proprietà delle ricorrenti. Si costituivano altri due condòmini, deducendo di aver sempre utilizzato anch'essi la superfice del lastrico. Il Tribunale rigettava la domanda, così come la Corte d'Appello che, confermando la decisione di primo grado, negava che la convenzione, intercorsa il 21 aprile 1958, valesse come attribuzione, alla ricorrente, di un diritto di uso esclusivo del lastrico solare, poi modificato in terrazza pavimentata e munita di ringhiera. Né valeva, a tale effetto, l'atto di transazione del 20 settembre 1960. I giudici del gravame ritenevano, perciò, illegittima la modificazione del tetto comune, in quanto la terrazza, anche se sovrastava l'appartamento delle attuali ricorrenti, occupava una rilevante quota dell'area di copertura dell'edificio e non solo un porzione.
Le condòmine che rivndicavano l’usucapione ricorrevano in Cassazione, impugnando il punto 2 bis della sentenza della Corte d'Appello, che negava l'acquisto di un uso esclusivo della terrazza in loro favore. Le ricorrenti, oltre ad affermare di aver preservato la funzione di copertura del preesistente tetto, domandavano il motivo per cui come nessun condòmino avesse manifestato un interesse all'uso della stessa terrazza per le attività astrattamente accessorie e secondarie, previste dalla Corte, come l'installazione di antenne televisive, ripetitori telefonici, canne fumarie. Attività, queste, peraltro ancora tutte possibili.
Per gli ermellini, la Corte d'Appello ha deciso in maniera conforme all'interpretazione consolidata della Cassazione. Il precedente giurisprudenziale che la ricorrente ha invocato afferma che il condòmino, proprietario del piano sottostante al tetto comune dell'edificio, può trasformarlo in terrazza di proprio uso esclusivo ma sempre che un tale intervento dia luogo a modifiche non significative della consistenza del bene, in rapporto alla sua estensione, e sia attuato con tecniche costruttive tali da non affievolire la funzione di copertura e protezione delle sottostanti strutture svolta dal tetto preesistente, quali la coibentazione termica e la protezione del piano di calpestio di una terrazza mediante idonei materiali.
La Corte aveva accertato la realizzazione di una terrazza, sovrastante l'appartamento delle ricorrenti ed occupante una porzione consistente della sua parte piana, unica fruibile per le funzioni accessorie, diverse da quella di copertura. È evidente come l'accertamento circa la non significatività del taglio del tetto praticato per innestarvi la terrazza e circa l'adeguatezza delle opere eseguite per salvaguardare le utilità di interesse comune, sia riservato al giudice di merito e, come tale, non censurabile in sede di legittimità. L'utilizzazione della cosa comune, da parte di un singolo condomino con modalità particolari e diverse rispetto alla sua normale destinazione, non può essere sollecitata ulteriormente tramite il ricorso per Cassazione, come se esso introducesse un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere l'ingiustizia della sentenza impugnata.
La Corte ha, perciò, rigettato il ricorso, condannando le ricorrenti a rimborsare ai controricorrenti le spese sostenute nel giudizio di cassazione, liquidate in complessivi euro 2.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

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