Condominio

Regolamento da rispettare, gli obblighi dell’amministratore

di Davide Longhi

L'amministratore condominiale è l'organo di governo del condominio (Cass. 3366/1995); essendo egli legato dal punto di vista legale da un contratto di mandato fiduciario - e non di immedesimazione organica non avendo ricevuto il condominio (anche dopo la riforma L. 220/2012) un riconoscimento di piena soggettività giuridica – e in quanto tale è chiaramente soggetto anche a responsabilità di tipo civile (contrattuale ed extra contrattuale) e di tipo penale.
Per quanto riguarda la responsabilità contrattuale (cosiddetta di tipo civile) l'articolo 1130 comma 1 c.c. impone all'amministratore determinati doveri tra i quali l'osservanza del regolamento condominiale (sia di tipo contrattuale che assembleare quale “statuto” della “vita” condominiale) che si pone quale fonte di obblighi e diritti non tanto per la collettività condominiale come tale, quanto, soprattutto, per i singoli condomini (Cass. 12342/1995). Oggi l'osservanza del regolamento incontra un'elevata aspettativa da parte dei condomini visto che lo stesso può prevedere l'irrogazione di sanzioni, da parte dell'assemblea, per il mancato rispetto delle clausole regolamentari (art. 70 disp. att. c.c.).
Il punto centrale della questione riguarda la legittimazione attiva autonoma dell'amministratore. Tale facoltà/obbligo unita al dovere dell'amministratore di condominio di adempiere con diligenza il proprio incarico, potrebbe far configurare in capo allo stesso una responsabilità per mancato adempimento dei propri obblighi contrattuali e precisamente una responsabilità c.d. omissiva.
Secondo la Suprema Corte di Cassazione (Cass. n. 21841/2010) non c'è dubbio che far rispettare l'osservanza del regolamento di con¬dominio è compito affidato all'amministratore “…il quale è abilitato ad agire e a resistere nei giudizi, senza che occorra quell'apposita autorizzazione che è richiesta dal¬l'art. 1136 c.c. soltanto per le liti attive e passive esorbitanti dalle incombenze proprie dell'ammini¬stratore stesso…”.
Tale potere, però, incontra alcuni limiti, infatti il suo compito riguarda l'osservanza delle clausole lecite aventi ad oggetto le parti comuni e non quelle che, sebbene inserite nel regolamento, riguardino le singole proprietà dei condomini (già Cass. 750/1973 e Cass. 954/1977). Relativamente a queste ultime, infatti, l'amministratore è legittimato ad agire in giudizio per il rispetto del regolamento solo qualora siano dirette a tutelare l'interesse generale al decoro, alla tranquillità e alla stabilità dell'intero edificio, e comunque ogni qualvolta si rilevi un interesse di natura condominiale meritevole di tutela. Il potere dell'amministratore di far rispettare il regolamento è finalizzato ad assicurare il c.d. pari uso (Cass. 6567/2006).
Il lettore a questo punto si porrà la seguente legittima domanda: con quali poteri ed entro quali limiti l'amministratore potrà agire per ottenere il rispetto del regolamento di condominio ?
Dovendo dare un risposta è necessario sin d'ora segnalare che sia in dottrina che nella giurisprudenza non si rileva un orientamento univoco e conforme circa il ruolo dell'amministratore, infatti si possono riassumere tre orientamenti e precisamente:
1° orientamento: secondo questo indirizzo non può richiedersi all'amministratore alcuna ulteriore attività oltre quella di vigilanza e segnalazione all'assemblea, atteso che l'amministratore non ha specifico potere disciplinare e sanzionatorio, essendo solo tenuto a riferire all'assemblea con¬dominiale delle violazioni commesse dai singoli condomini, ed essendo sovrana l'assemblea ad adottare ogni provvedimento utile per il rispetto del regolamento (giurisprudenza di merito da ultimo Tribunale di Roma 12 dicembre 2006);
2° orientamento (intermedio): già a far data dall'anno 2003 la giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. n. 93778/1997 - Cass. 14088/1999 - Cass. n. 16240/03 - Cass. 8883/2005), contrariamente alla giurisprudenza di merito, statuisce che l'amministra-tore di condominio è legittimato ad agire in giudi¬zio per ottenere il rispetto del regolamento indipendentemente da una eventuale delibera as¬sembleare che lo autorizzi.
Pur aderendo a tale orientamento va precisato che la giurisprudenza non ritiene responsabile l'amministratore di condomino (ancorché sia tenuto a far osservare il regolamento condominiale), dei danni cagionati dall'abuso dei condomini nell'uso della cosa co¬mune, non essendo dotato di poteri coercitivi e di¬sciplinari nei confronti dei singoli condomini, ne conseguirebbe, pertanto, l'esclu¬sione di una responsabilità omissiva in capo all'amministratore di condominio, fatta salva però la circostanza che il regolamento di condominio, ai sensi dell'art. 70 disp. att. c.c., preveda la possibilità di applicare le sanzioni nei confronti dei condomini che violano le norme da esso stabilite sull'uso delle cose comuni e che l'amministratore non provveda ad applicarle (Cass. n. 8804/93 e Cass. 14735/06 e Cass. 10329/2008 in dottrina A. Celeste Imm. & Diritto 07, 09, 27).
3° orientamento (dominante e preferibile): la giurisprudenza della Suprema Corte ribadisce definitamente il suo orientamento (Cass. 21841/2010 e Cass. 17493/2014) affermando che “…curare l'osservanza del regolamento di condominio è compito precipuo affidato dall'art. 1130 c.c. all'amministratore…”, il quale, pertanto, è senz'altro abilitato ad agire e resistere nei perti¬nenti giudizi, senza che occorra un'apposita auto-rizzazione da parte dell'assemblea. Secondo questo indirizzo, indipendentemente dall'esistenza o meno di una autorizzazione assem¬bleare, l'amministratore ha quindi la facoltà di attivarsi, anche tramite l'azione giudiziale, per ottenere il rispetto del regolamento di condominio. Dovendo adempiere con diligenza al proprio incarico, e avendone la facoltà, sembra potersi desumere un vero e pro¬prio obbligo per l'amministratore, di attivarsi, anche giudizialmente, per ottenere il rispetto del regolamento. In caso contrario potrebbe, infatti, ravvisarsi una responsabilità contrattuale del professionista per mancato adempimento dei propri obblighi (derivanti dal rapporto di mandato). Si può, dunque, affermare che l'amministratore per attivarsi e far cessare gli abusi, non necessita di alcuna previa autorizzazione assem¬bleare, tuttavia risulta opportuno/necessario ricollegare l'ob¬bligo di intervento dell'amministratore ad una richiesta che provenga da almeno uno dei condomini poiché è improbabile che egli sia a conoscenza delle effettive violazioni poste in essere dai condomini.
A questo punto se da un parte si può ritenere che qualora l'amministratore assuma un atteggiamento di inerzia oggettiva ciò non configuri una giusta causa di revoca, dall'altra l'amministratore che non adempie a tale obbligo, entro un ragionevole tempo considerato come sufficiente a non recare pregiudizio agli altri condomini, può in ogni caso essere condannato al risarcimento del danno causato dalla propria negligenza.
L'azione dell'amministratore avrà come destinarti i trasgressori individuati nella figura del condomino ma anche nei confronti del conduttore (Cass. 825/1997), e si ritiene per analogia che l'azione possa essere destinata anche nei confronti del comodatario e del titolare del diritto di usufrutto/uso/abitazione.
Oggi, stante la vigente disciplina legislativa per questo genere di controversie, prima d'iniziare la causa è necessario esperire la procedura (tentativo) di mediazione c.d. obbligatoria.
Tuttavia si fa qui rilevare che ai sensi dell'art. 71-quater disp. att. cc. per agire in mediazione “contro” un condomino che non rispetta il regolamento di condominio l'amministratore deve preventivamente chiedere l'autorizzazione all'assemblea, per contro per intentare la causa giudiziale non è richiesta la preventiva autorizzazione assembleare. Detto ciò si può affermare che l'autorizzazione preventiva dell'assemblea sia necessaria solo per attribuire all'amministratore il potere di mediare/conciliare e non per conferire a quest'ultimo la legittimazione a far rispettare il regolamento che autonomamente già possiede (art. 1130 comma 1 c.c. sopra citato), contraddizione questa che si auspica venga corretta e/o superata quanto meno per via giurisprudenziale.
Altra questione d'affrontare è quella relativa all'efficacia dell'azione posta in essere dall'amministratore di condominio per il rispetto del regolamento. Un contributo in tal senso è stato offerto sia dalla riforma del condominio (L. 220/2012 che ha fatto “rivivere” l'art. 70 disp att c.c.) sia dal successivo d.l. n. 145/2013 (così detto decreto Destinazione Italia), che hanno individuato il soggetto a cui spetta indicare/regolamentare il comportamento illegittimo e quantificare/determinare la correlata sanzione: l'assemblea di condominio. Tali modifiche legislative hanno attribuito nuova linfa vitale ad un istituto che in passato è risultato di scarsa applicazione in ragione dell'esiguità della sanzione pecuniaria applicabile, fissata dal legislatore nella misura massima di lire 100 (euro 0,052).
Oggi la sanzione deve essere necessaria¬mente prevista “in un regolamento condominiale”, la sanzio¬ne deve essere correlata ad una violazione “del regolamento” e non ad una qualsiasi infrazione e la previsione del comportamento deve essere “specifica” e non “generica”. Il regolamento di condominio che la contempla può anche essere di tipo assembleare (artt. 1138 c.c. - art. 1136). In assenza di tale previsione né l'amministratore (che non po¬trebbe essere autorizzato dall'assemblea) né l'assemblea hanno la ti¬tolarità sanzionatoria. Circa i destinatari della sanzione (la riforma non fa alcun cenno al “condomino”) si ritiene che possano essere anche il conduttore, il comodatario e il titolare del diritto di usufrutto/uso/abitazione perché questi soggetti sono gli effettivi utilizzatori delle parti comuni dell'edificio e quindi si trovano in una posizio¬ne di ingerenza nell'organizzazione condominiale, mentre per i soggetti “trasgressori” diversi da quelli sopra indicati (familiari-conviventi-dipendenti) è preferibile che l'amministratore addebiti la somma al solo condomino/proprietario, a titolo di responsabilità, per così dire, oggettiva (Cass. 8239/1997). La sanzione, assumendo un valore risarcitorio, deve essere solo pecuniaria (Cass. 820/2014). L'importo massimo della stessa è fissato fino a euro 200 quindi è ragione¬vole ritenere che, non essendo prefissato un “minimo”, sia sempre possibile infliggere multe di importo inferiore, tuttavia si fa qui rilevare che la somma di euro 200 non costituisce un limite “massimo” invalicabile nel senso che le parti possono accordarsi in modo diverso, rego¬lando liberamente i loro interessi (patto contrattuale assumibile solo con la totalità dei condomini). Infine si precisa che solo l'amministratore è autorizzato ad applicare la sanzione escludendo, quindi, sia l'assemblea sia terzi vigilatori (come, ad esempio, guardie private).

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