Condominio

Ricevute pretese e non dovute, scatta il reato di estorsione

di Luana Tagliolini

Commette il reato di lesione ed estorsione chi costringe, con violenza, l’amministratore a rilasciare ricevute di pagamento non dovute (Cassazione, Sezione penale, sentenza 50954/2017).

Due condòmini erano stati condannati per questi reati per aver preteso con violenza dall’amministratore di condominio le ricevute a quietanza di pagamenti mai eseguiti per un importo di 3mila euro, assicurandosi un ingiusto profitto a danno dell’amministratore.

Condannati in primo grado dal Tribunale, la Corte di appello in riforma della sentenza emessa dal giudice di prime cure, dichiarava non doversi procedere nei conforti dei due imputati per il reato di lesione perché estinto per prescrizione, mentre confermava la condanna per il reato di estorsione (articolo 629 codice penale).

Gli imputati presentavano il ricorso per Cassazione al fine di ottenere la derubricazione del reato dal fatto più grave di estorsione a quello meno grave di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (articolo 393 codice penale).

La suprema Corte ha invece condiviso le ragioni della Corte di merito che preliminarmente aveva richiamato l’orientamento consolidato della giurisprudenza sulla distinzione tra i due reati precisando che «i delitti di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e di estorsione si distinguono anche in considerazione del fatto che, nel primo, l’agente persegue il conseguimento di un profitto nella convinzione, ragionevole anche se infondata, di esercitare un suo diritto, ovvero di soddisfare personalmente una pretesa che potrebbe formare oggetto di azione giudiziaria; nel secondo, l’agente persegue il conseguimento di un profitto, pur nella consapevolezza di non averne diritto» (Cassazione, sentenza n. 50954 cit.).

La Corte d’appello aveva appurato che la condotta dei ricorrenti era estorsiva in quanto non vi era alcuna legittima pretesa da fa valere né era stata data prova del diritto ad ottenere la ricevuta per aver adempiuto al pagamento del dovuto.

Per questo la Cassazione respingeva il ricorso dichiarandolo inammissibile e condannava i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

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