Condominio

Per i casi di appropriazione indebita dalle Procure serve più attenzione

di Francesco Schena

Nel mese di dicembre dell'anno appena trascorso ho avuto modo di confrontarmi con due casi di perizia (Ctp) per due casi di ipotesi di appropriazione indebita a carico di due distinti amministratori di condominio.
Le due denunce non costituiscono certamente una novità nel panorama della “caccia al ladro” venutosi a rafforzare negli ultimi tempi sia a causa di fatti concreti da una parte ma anche in ragione di una cultura del sospetto nei confronti dell'amministratore dall'altra, ancora più irrobustita a seguito del distorto sdoganamento della figura del revisore della contabilità condominiale quale censore di ogni amministratore e come colui che finalmente conferma il quasi secolare dubbio sull'onesta di una categoria intera (quella degli amministratori) da molti sempre più bistrattata.
Alcuni problemi possono però nascere dalle scelte investigative delle Procure investite di notizie di reato.
In entrambi i casi esaminati, infatti, risultava gli atti la sola denuncia di alcuni condòmini che deducevano una appropriazione indebita per il fatto che vi fossero fatture dell'acqua insolute nonostante i loro versamenti e verbale di interrogatorio delegato condotto dai Carabinieri nei confronti dell’amministratore (dal quale, peraltro, emergeva con chiarezza la sua estraneità al reato). Nessuna contabilità acquisita, nessun riscontro effettuato, nessun perito nominato.
Ora, a prescindere dai casi concreti in esame e dal loro merito, la domanda da porsi è se sia corretto mettere sul banco degli imputati un professionista senza alcuna indagine approfondita né riscontri contabili ma basandosi, semplicemente, sul contenuto, nemmeno circostanziato, di una denuncia e su due fatture insolute.
Certamente si dirà che l'amministratore potrà difendersi in sede dibattimentale e dimostrerà la sua innocenza ma il punto è proprio questo. Si parte da un vero e proprio assioma, “l'amministratore ha rubato”, e si affida ad un dibattimento che durerà chissà quanto tempo l'accertamento di una verità senza che il rinvio a giudizio si fondi su fonti di prova o almeno ragionevoli e gravi indizi. Insomma, si dà credito semplicemente al sospetto del condomino che, privo di competenza tecnica, ha dedotto una ipotesi di appropriazione senza elementi a sufficienza.
Ma non solo. Cosa ne sarà della reputazione di quel professionista ormai rinviato a giudizio anche quando dimostrerà la sua innocenza agli occhi dei suoi clienti?
Dalle Procure, dunque, è necessario che vi sia una maggiore attenzione nell’affrontare tali questioni perché, come in ogni processo penale, è in gioco non soltanto l'accertamento della verità ma anche il destino di una reputazione professionale costruita spesso con decenni di sacrificio che potrebbe sciogliersi come neve al sole per il sol fatto di non aver voluto dedicare adeguate risorse alle indagini preliminari.

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