Condominio

L’alloggio non basta a configurare il rapporto di lavoro di portierato

di Valeria Sibilio

La presunzione di un contratto di lavoro si riconduce a svariati elementi che la determinano, la cui natura può essere causa di interpretazioni che sfociano in diatribe condominiali. La prima sentenza della Cassazione del 2018 (1/2018) ha affrontato un caso in cui una lavoratrice, inquadrata dal condominio con un contratto di pulizia, aveva visto accogliere la propria domanda dal Tribunale di primo grado in merito al riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato, alle dipendenze del suddetto condominio, per il periodo compreso tra luglio 1993 e giugno 2004 e delle relative differenze retributive. Il Tribunale aveva condannato il convenuto al pagamento, in favore dell'attrice, della somma di euro 23.932,46 accessori inclusi, a titolo di differenze retributive relative al periodo dal 4 marzo 1998 in poi, per il quale era stato stipulato un contratto di lavoro subordinato part-time.
Ricorrendo in Secondo Grado, il condominio vedeva accolto il proprio ricorso in quanto, contrariamente a quanto sostenuto dalla lavoratrice, per la Corte d’appello dall'esame del contratto di appalto mancava un quadro probatorio tale da dimostrare, con certezza, la sussistenza di un rapporto subordinato al datore di lavoro, ovvero il Condominio. Inoltre, l'effettuazione delle attività appaltate con cadenza giornaliera e nelle ore antimeridiane non equivaleva all'osservanza di un orario di lavoro, restando nella facoltà della lavoratrice di scegliere l'arco temporale più idoneo alla realizzazione del proprio servizio. Anche l'uso gratuito della casa, pur costituendo una forma di corrispettivo parziale in aggiunta a quello pecuniario, non rappresentava un elemento dirimente riguardo alla qualificazione del rapporto.
Ricorrendo in Cassazione, la ricorrente lamentava una errata valutazione delle prove testimoniali e documentali, sostenendo che la decisione impugnata contrastava con quanto statuito dal Giudice di Primo Grado, per il quale il rapporto di lavoro subordinato era stato dimostrato dal contratto di appalto del 7 maggio 1994 il quale, ad un attento esame, consentiva di ricondurlo ad un rapporto di lavoro subordinato di portierato, in quanto la pulizia dell'ingresso doveva avvenire giornalmente. Inoltre, la ricorrente sosteneva che per la sua persona era previsto, oltre all'uso gratuito della casa, la responsabilità della distribuzione della posta nella stessa giornata di arrivo, nonché al controllo dell'ascensore, degli impianti idrico-elettrici ed alla comunicazione di eventuali guasti all'amministratore. Servizi che andavano svolti nelle ore antimeridiane dei giorni non festivi. Inoltre, l'obbligo di giustificare assenze ed allontanamenti all'amministratore ed ai condòmini costituiva un'ulteriore prova dell'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato.
La Cassazione ha ritenuto inammissibile il motivo di ricorso con il quale era stata contestata la valutazione che la commissione tributaria regionale aveva fatto in ordine alla concludenza di una prova presuntiva, ritenendo insufficienti le censure mosse dalla parte ricorrente, fondate più che altro su diverse valutazioni dissenzienti rispetto a quanto motivatamente deciso dai giudici di merito e come tali irrilevanti, soprattutto perché non specificano errori in diritto eventualmente commessi con l'impugnata pronuncia. L'elemento, che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato rispetto a quello autonomo, è essenzialmente l'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia ed inserimento nell'organizzazione aziendale, mentre altri elementi, quali l'assenza di rischio, la continuità della prestazione, l'osservanza di un orario e la forma della retribuzione, assumono una natura sussidiaria e di per sé non decisiva. In una situazione di incertezza probatoria, il giudice del merito, che neghi la ricorrenza degli elementi costitutivi del rapporto, non è tenuto ad accertare se le prestazioni svolte dall'attore siano ricollegabili ad un contratto d'opera o ad un contratto di appalto, stante l'irrilevanza di una tale indagine al fine indicato. Di conseguenza, anche l'eventuale erroneità dei criteri adottati in quell'accertamento non può essere utilmente dedotta come motivo di ricorso per cassazione avverso una tale pronuncia.
La Corte ha, perciò, rigettato il ricorso, condannando la ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in euro 3500,00 per compensi professionali ed in euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali al 15%.

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