Condominio

Anticipazioni e restituzione delle somme da parte dell’amministratore

di Davide Longhi

L'istituto della cosiddetta“anticipazione” trova riscontro nella decisione della Suprema Corte di Cassazione sez. II ordinanza n. 21633 del 19/09/2017 , la quale statuisce sulla vicenda che vede coinvolto un amministratore Torinese che, nel corso del suo mandato, ha effettuato una “anticipazione” a favore dell'allora condominio amministrato. La sentenza è stata resa nota in esclusiva dal Sole 24 Ore il giorno dopo il deposito ma merita una serie di approfondimenti.

La vicenda giudiziaria
Un amministratore torinese sosteneva di aver anticipato al condominio da lui amministrato la somma di euro 2.000,00 “a titolo di mutuo”, con lo scopo di coprire i crediti dei fornitori-debiti condominiali impellenti. La Corte di Cassazione (con l'ordinanza sopra citata) gli ha dato torto. La vicenda ha inizio con la sentenza di 1° grado del Giudice di Pace n. 860/2011 che aveva condannato il condominio a restituire solo la somma di euro 1.000,00. Successivamente il Tribunale di Torino con la sentenza n. 7136 del 4/10 dicembre 2012 (come giudice di appello dopo una sentenza del Giudice di Pace), in parziale riforma della sentenza di 1° grado, aveva condannato il condominio a restituire tutto quanto l'amministratore aveva versato sul conto corrente condominiale (euro 2.000,00). Successivamente il condominio, contro la sentenza di 2° grado, ha proposto ricorso in Cassazione adducendo due motivi di ricorso e precisamente che:
a) (1° motivo) il Giudice di Pace non aveva specificato se si trattasse di accoglimento della domanda di restituzione della somma o di arricchimento senza causa;
b) (2° motivo) l'amministratore non aveva prodotto alcun titolo valido che giustificasse l'“ingiustificato arricchimento”.
La Cassazione ha poi effettivamente riconosciuto che in 1° grado non era stata identificata con esattezza la ragione della restituzione e che il Tribunale, a sua volta, non se ne era curato, limitandosi a portare ad euro 2.000,00 (contro i 1.000,00 del Giudice di Pace) l'importo da restituire a carico del condominio, sul presupposto che l'amministratore di condominio aveva versato sul c/c dello stesso condominio gli importi di cui aveva sollecitato la restituzione e che, a quel punto, competeva al condominio dimostrare di aver restituito tale somma “comunque pervenuta sul c/c” (si veda pag. 10 della sentenza del Tribunale impugnata).
Il 1° motivo del ricorso per Cassazione è tecnico-processuale e riguarda la mancata specificazione dei motivi di appello imposti dall'art. 342 c.p.c. nella formulazione originaria ante legge n. 132 dell'anno 2012 (di cui infra una disamina più approfondita).
Ma è sul 2° motivo del ricorso che si basa la parte più importante per l'attività professionale dell'amministratore. Infatti la Cassazione ha rilevato che tra l'ex amministratore ed il condominio non esisteva alcun contratto di mutuo, conseguentemente non era sufficiente, come aveva invece sostenuto il Tribunale di Torino, che risultassero dei versamenti sul conto corrente condominiale da parte dell'amministratore. Da ciò consegue che non basta la sola “consegna del denaro” perché si configuri l'esistenza di un contratto di mutuo, perché manca un “titolo che implichi l'obbligo della restituzione”, titolo che nella fattispecie in esame in effetti mancava, per ammissione esplicita dello stesso amministratore. La Cassazione ha quindi concluso accogliendo entrambi i motivi di ricorso proposti dal condominio, “cassando” la sentenza del Tribunale di Torino, e rinviando il giudizio ad altro magistrato dello stesso Tribunale. La Cassazione ha, del resto, richiamato sul punto le sentenze della stessa Corte n. 5691/1983 - 3642/2004, che avevano già espresso lo stesso principio. Si segnala, solo per completezza espositiva, che nel giudizio di 1° grado l'amministratore non ha dato prova del “titolo” in forza del quale avrebbe effettuato l'anticipazione non fornendo la causale dei bonifici bancari, in astratto riconducibili a fattispecie del tutto diverse rispetto a quelle dedotte in lite.

Analisi giuridica della decisione
Analizzando i due motivi posti alla base del ricorso per Cassazione (presentato dal condominio) si rileva che il 1° motivo, relativo alla mancata specificazione dei motivi di appello, è stato accolto propriamente alla luce dell'insegnamento della stessa Corte secondo il quale l'onere di specificazione dei motivi di appello, imposto dall'art. 342 c.p.c. (nella formulazione antecedente alla novella di cui alla L. n. 134 del 2012 ed applicabile al caso di specie ratione temporis, giacchè l'appello a stato introdotto nel 2011), non è assolto con il semplice richiamo per relationem “alla comparsa conclusionale” di primo grado, perché i motivi di gravame devono riferirsi alla decisione appellata, e tali non possono essere le osservazioni e le difese esposte prima di essa. Infatti un siffatto richiamo obbligherebbe il giudice di legittimità, al fine di identificare i motivi sui quali deve pronunciarsi, ad un'opera di relazione e di supposizione che la legge processuale non gli affida: anzi, una simile ricostruzione attuata dal giudice, delle censure della parte, si tradurrebbe in una sostanziale violazione dei principi del contraddittorio, giacchè, per l'inevitabile soggettività dei criteri che a tal fine il giudice impiegherebbe, l'altra parte sarebbe posta nell'incertezza delle domande sulle quali difendersi, potendo accertare solo dalla lettura della sentenza - e dunque “a posteriori” - i motivi sui quali, secondo la ricostruzione operata dal giudice del gravame, era stata chiamata a contraddire.
Invece per quanto riguarda il 2° motivo, relativo alla mancata prova del titolo valido che giustificasse il pagamento e quindi poi la restituzione, la Corte non ha condiviso le affermazioni del Tribunale (giudice di appello) secondo cui “…è sufficiente osservare che dalla documentazione prodotta...risulta che l'ex amministratore ha versato sul c/c condominiale gli importi di cui ora chiede la restituzione. A questo punto...competeva al condominio provare di aver già effettuato le restituzioni ad esso P. di tali somme” (cosi sentenza d'appello, pagg. 10 e 11)...” ed ha richiamato il proprio e risalente insegnamento che indica che per provare l'esistenza di un contratto di mutuo, posto a fondamento di una pretesa fatta valere in giudizio, non basta dimostrare l'avvenuta consegna del danaro o di altre cose fungibili, ma occorre dimostrare che tale consegna sia stata effettuata per un titolo che implichi l'obbligo della restituzione, solo in tal modo potendo dirsi adempiuto l'onere della prova del fatto costitutivo della domanda, a norma dell'art. 2697 c.c. (cfr. Cass. 26.9.1983, n. 5691; Cass. 24.2.2004, n. 3642).
Quindi la Corte Suprema, in accoglimento dei due predetti motivi, ha cassato la sentenza rinviando la stessa al Tribunale in veste di giudice di appello in persona di diverso magistrato. In merito al rinvio operato dalla Suprema Corte, autorevole dottrina (dr. Roberto Triola ex Presidente della 2^ sezione della Corte di Cassazione) ha rilevato che l'accoglimento del 1° motivo, per mancata specificazione dei motivi di appello, avrebbe, infatti, dovuto comportare la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata, idem per il contemporaneo accoglimento del 2° motivo. Se, infatti, il rigetto nel merito della domanda dipendeva dal fatto che l'amministratore non aveva provato di avere consegnato al condominio denaro per un titolo che comportava l'obbligo della restituzione, non potendo tale circostanza essere provata nel giudizio di rinvio (che sostituisce il giudizio di appello), la Suprema Corte, eventualmente giudicando nel merito, avrebbe dovuto ugualmente cassare senza rinvio la sentenza impugnata.

Le “anticipazioni” dell'amministratore
Preliminarmente occorre ricordare e precisare che sotto il profilo civilistico, ai sensi dell'art. 1129 comma 12° n. 4, costituisce grave irregolarità “…la gestione secondo modalità che possono generare possibilità di confusione tra il patrimonio del condominio e il patrimonio personale dell'amministratore o di altri condomini…”, evenienza che esplicitamente autorizza la revoca dell'assemblea ovvero quella giudiziale, anche su ricorso di un solo condomino.
L'amministratore, talvolta, per sopperire alla carenza di liquidità del condominio provvede personalmente a pagare dei fornitori condominiali utilizzando il proprio denaro per poi esigere la restituzione delle “anticipazioni” effettuate.
Come ci ricorda la Suprema Corte applicando i principi generali (Cass. Sez. II, 9/05/2011, n. 10153 - Cass. Sez. II civile, 4/10/2005 n. 19348) il credito per le somme anticipate nell'interesse del Condominio, da parte dell'amministratore, trae origine da un rapporto di “mandato”, pertanto nell'amministratore di condominio si configura un “ufficio di diritto privato” orientato alla tutela del complesso degli interessi dei condomini, singolarmente considerati, che è assimilabile, pur con taluni tratti distintivi, al “mandato con rappresentanza” (art. 1129 c.c. il quale, per tutto quanto non espressamente disciplinato rimanda, appunto, alle norme sul mandato artt. 1703-1741 c.c.).
L'amministratore, in qualità di mandatario dei condomini, ha diritto di ricevere dal mandante/condominio gli strumenti necessari per poter eseguire correttamente il mandato e adempiere ai derivanti obblighi e, ancora, ha il diritto di essere rimborsato delle anticipazioni fatte durante l'esecuzione del mandato. Da tale considerazione consegue che, nei rapporti tra amministratore ed ognuno dei condomini, trova applicazione l'art. 1720 comma 1 c.c., in conformità del quale il mandante deve rimborsare al mandatario le anticipazioni fatte nell'esecuzione dell'incarico. L'amministratore non può disporre a sua discrezione delle “voci di spesa” di cui necessita il condominio sul presupposto che lo stesso non ha un potere generalizzato di spesa. Quest'ultima facoltà è demandata per legge all'assemblea condominiale, la quale ai sensi dell'art. 1135 nn. 2 e 3 c.c., provvede all'approvazione delle spese occorrenti e della relativa ripartizione (rendiconto annuale), fatto salvo quanto previsto dagli artt. 1130 e 1135 c.c. in tema di lavori urgenti per il quale l'amministratore ha l'onere di provare sia l'urgenza che l'indifferibilità delle spese.
Ora occorre affrontare il delicato e ricorrente problema delle prove che l'amministratore di condominio deve fornire per garantirsi il diritto alla restituzione delle somme anticipate, a favore del condominio, per sostenere le spese/debiti condominiali. Il principio di cui all'art. 1720 c.c. in conformità del quale il mandante deve rimborsare al mandatario le anticipazioni fatte nell'esecuzione dell'incarico, deve essere coordinato con quelli in materia di condominio, secondo i quali il credito dell'amministratore non può considerarsi liquido né esigibile senza un preventivo controllo da parte dell'assemblea (Cass. Sez. II 14/02/2017, n. 3892 e Cass. Sez. II, 28/05/2012, n. 8498; Cass. civ. Sez. II, 27/01/2012, n. 1224 - Cass. civ. Sez. II 27/06/2011 n. 14197 - Tribunale di Roma sentenza n. 17248/2016. - Trib. Firenze Sez. II, 17/10/2014).
Spetta all'amministratore “…fornire la prova degli esborsi effettuati, mentre i condomini devono dimostrare di aver adempiuto all'obbligo di aver tenuto indenne l'amministratore di ogni diminuzione patrimoniale in proposito subita…” (Cass. ordinanza n. 20137 del 17 agosto 2017).

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