Condominio

Sconto sul riscaldamento in base agli «usi civici» ma con la casa chiusa tutto l’inverno

di Valeria Sibilio

Spetta lo sconto sulle spese di riscaldamento per il mancato uso dell’appartamento ma solo se resta vuoto per l’intera stagione. Il principio, espresso dalla Cassazione con l'ordinanza 28615 del 2017, si basa sul richiamo agli «usi civici» della Provincia di Torino, è di grande interesse proprio per il riconoscimento della validità di questa figura giuridica, normalmente poco usata e spesso dimenticata.

La complessa materia degli usi civici è disciplinata dalla legge n. 1766 del 16 giugno 1927 (che ha convertito in legge il R.D. 22 maggio 1924 n. 751) e nel successivo regolamento di esecuzione approvato con il R.D. n. 332 del 26 febbraio 1928. In sostanza, nella raccolta effettuata dalal Provincia di Torino risulta un uso civico su una determinata area che fissa una riduzione delle spese condominiali per il riscaldamento se l’unità immobiliare non viene usata. Una norma (che trova riscontro anche in altre città e province) che in parte è superata dal recente obbligo di contabilizzatori e termovalvole.

La Cassazione ha quindi rigettato il ricorso con il quale una condòmina aveva impugnato, presso il Tribunale di Torino, una delibera condominiale, richiedendone l'annullamento per non avere tenuto conto del suo diritto (derivante da usi civici) ad ottenere uno sconto per le spese del servizio di riscaldamento, in quanto il suo appartamento era sfitto. In parziale accoglimento della domanda, in primo grado il Tribunale annullava la delibera limitatamente all'approvazione del bilancio consuntivo di gestione del riscaldamento per l'annualità 2009/2010, mentre rigettava l'analoga richiesta con riferimento all'annualità 2010/2011, rilevando, a tal fine, che nel corso di quella annualità la condòmina aveva venduto il proprio immobile. In secondo grado la Corte di appello, in parziale riforma della decisione di primo grado ed in accoglimento dell'appello incidentale, respingeva la domanda di annullamento della delibera assembleare, sostenendo che dal verbale di assemblea si evinceva che il voto era stato espresso all'unanimità, quindi anche con il consenso del delegato dell'attrice, il quale non aveva assolto l'onere di provare il proprio dissenso. I giudici di appello ribadivano, inoltre, che l'attrice non aveva interesse all'annullamento della delibera relativamente all'annualità 2010/2011, poiché il suo immobile era stato dato in uso e poi venduto a terzi nel corso dell'anno in questione.
La Cassazione, alla quale la condòmina aveva presentato ricorso, dichiarava privo di pregio la richiesta di annullamento della delibera relativa allo sconto per l'annualità 2010/2011. Per gli ermellini, non poteva esserci una riduzione, anche solo parziale, limitatamente al periodo 15 ottobre/20 dicembre 2010 durante il quale l'immobile era ancora nella disponibilità della condòmina, in quanto sussiste il diritto allo sconto solo con riguardo ad immobili non utilizzati per l'intera stagione, come valutato dalla Corte di appello.
Per la Cassazione, inoltre, debbono qualificarsi nulle le delibere dell'assemblea condominiale prive degli elementi essenziali, con oggetto impossibile o illecito o che non rientrino nella competenza dell'assemblea, che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini e quelle invalide in relazione all'oggetto. Sono, invece, annullabili le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell'assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti enti al procedimento di convocazione o di informazione dell'assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione e quelle che violano norme richiedenti qualificate maggioranze in relazione all'oggetto. Pertanto, la mancata convocazione non inficiava la immediata esecutività della delibera, la quale si è limitata a ripartire, ed implicitamente ad approvare, la spesa necessaria per la gestione del riscaldamento.
Per la Corte, inoltre, la condòmina non aveva offerto di provare il dissenso che avrebbe espresso il suo delegato in assemblea.
La Cassazione ha, perciò, rigettato il ricorso, condannando la parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate in euro 3.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie e agli accessori come per legge.

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