Condominio

Guida ai diritti dei partecipanti sulle parti comuni

di Anna Nicola

L'art. 1118 c.c. rubricato “Diritti dei partecipanti sulle parti comuni” così recita: Il diritto di ciascun condomino sulle parti comuni, salvo che il titolo non disponga altrimenti, è proporzionale al valore dell'unità immobiliare che gli appartiene.Il condomino non può rinunziare al suo diritto sulle parti comuni. Il condomino non può sottrarsi all'obbligo di contribuire alle spese per la conservazione delle parti comuni, neanche modificando la destinazione d'uso della propria unità immobiliare, salvo quanto disposto da leggi speciali. Il condomino può rinunciare all'utilizzo dell'impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, se dal suo distacco non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini. In tal caso il rinunziante resta tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell'impianto e per la sua conservazione e messa a norma.
L'articolo 1118 è, come in precedenza, in tema di diritti dei partecipanti sulle parti comuni.
L'uso dei beni comuni è quantificato sulla base del valore degli immobili di singola proprietà: i diritti individuali sui beni condominiali sono proporzionali all'unità immobiliare di riferimento. La loro concreta estrinsecazione è data dai millesimi di proprietà. La norma in esame, sotto questo profilo, è strettamente collegata all'art. 68 disp. Att. C.c. , in tema di tabelle millesimali. Lo stesso vale per quanto concerne le spese delle cose e beni comuni all'edificio.
Se un condomino ha la quasi totalità dei millesimi dell'edificio, ha un diritto più intenso sui beni e servizi comuni rispetto agli altri abitanti dello stabile, salvo diversa disposizione del regolamento di condominio. Questo maggior uso è legittimo, gli altri non si possono opporre. L'espressione dell'utilizzo dei beni condominiali in termini di valore proporzionale (millesimi alloggio/millesimi totalità dell'edificio) e la comparazione del diritto sussistente in capo ai singoli può non essere immediato soprattutto quando i millesimi individuali sono tra loro differenti in modo rilevante. È difficile trovare una concreta e corretta rappresentazione dell'uso di un bene in termini proporzionali, soprattutto quando questi termini devono essere confrontati tra più soggetti che hanno un diritto di utilizzo del medesimo bene con diversa intensità.
Vi può essere un titolo sulla cui base il diritto del singolo non è in ragione della proporzione del valore della sua unità immobiliare. Questo titolo può essere il regolamento di natura contrattuale, cioè il regolamento che è stato accettato da tutti i condomini, sia stato esso disposto dal costruttore dell'edificio e via, via accettato dai vari acquirenti delle unità immobiliari che costituiscono il condominio o sia stato assunto in sede assembleare in forma unanime. Ad esempio, il regolamento contrattuale può stabilire che il sottotetto, sebbene di rilevanti dimensioni, è di proprietà esclusiva del proprietario-costruttore dell'edificio, e che il medesimo non ha alcuna destinazione a favore dell'edificio e dei suoi abitanti. Al pari può esservi una clausola che attribuisce la proprietà del sottotetto a un condomino con facoltà di uso (anche di un determinato uso) a favore degli altri (Cass., Sezioni Unite, 30.12.1999 n. 943; Cass., 14.08.2007 n. 17694)
Come “titolo” non può essere inteso il singolo atto di acquisto di un'unità immobiliare che compone l'edificio. Se così fosse, si potrebbero porre problemi di coesistenza del maggior singolo uso nei confronti degli altri condomini per una non corretta distribuzione dei millesimi all'interno del condominio e verso i terzi. Si avrebbe in pratica una non opponibilità del maggior utilizzo nei confronti degli altri condomini. L'ipotesi corretta può ricorrere per la prima compravendita dell'alloggio da parte del proprietario costruttore: il condomino compratore acquista il diritto di maggior uso di un bene comune in ragione del momento in cui viene redatto il contratto. In questa fase, non vi sono ancora altri condomini che potrebbero venire lesi. Lo stesso si può dire per la clausola –sempre di questo primo atto di compravendita- in cui il venditore-costruttore attribuisce a se stesso un utilizzo più intenso di un certo bene destinato alla collettività dello stabile. Così può essere ad esempio per la tavernetta condominiale: la clausola del primo contratto di vendita di uno degli alloggi dell'edificio prevede che il venditore-costruttore (o il primo acquirente) può utilizzarla nei periodi di feste, a Natale, Pasqua e così via. La trascrizione del contratto comporta la sua opponibilità ai terzi, futuri condomini. Il regolamento approvato a maggioranza in sede di assemblea di condominio non può valere ai fini di escludere la ripartizione delle spese come sancito dalla norma in esame, mancando l'unanimità dei consensi.
L'art. 1118 c.c. prosegue esprimendosi in termini di divieto di rinuncia al diritto di proprietà sui beni comuni, permettendo implicitamente la rinunzia all'uso. La rinunzia alla proprietà non è assoluta: se un condomino vende il proprio alloggio è consequenziale che si libera anche dei beni e servizi condominiali. Anche se spesso nei contratti di compravendita si specifica che vengono cedute le parti condominiali, non avrebbe senso mantenere la proprietà delle pertinenze quando non si ha più quella dell'alloggio a cui le stesse si riferiscono e sono necessarie.
Il caso più frequente, riscontrato in giurisprudenza prima dell'intervento della novella, di rinunzia all'uso di un servizio comune era il distacco dall'impianto di riscaldamento centralizzato. L'orientamento unanime è nel senso che la rinuncia è possibile se il distacco non arreca danno agli altri condomini, anche in termini di eventuale aggravio di spese o di squilibrio termico. E' la rinunzia all'utilizzo dell'impianto a cui consegue il parziale esonero dalle spese di uso del bene. Chi non vuole più servirsi dell'impianto condominiale può strutturare il proprio alloggio con riscaldamento autonomo e comunque in modo diverso dall'utilizzo del servizio collettivo. Il condomino, nonostante il distacco, rimane obbligato a contribuire alla manutenzione straordinaria dell'impianto, per la sua conservazione e messa a norma e alla sua messa a norma (App. Roma Sez. IV Sent. 17/06/2009; Trib. Salerno, 06/10/2009; Trib. Monza Sez. I, 03/09/2007; Trib. Potenza Sent., 26/02/2009)
Sebbene il secondo comma dell'art. 1118 c.c. sancisca il principio generale secondo cui il condomino non può rinunziare al suo diritto sulle parti comuni, i successivi due commi prevedono particolari eccezioni, di cui la seconda costituisce il recepimento della giurisprudenza appena menzionata.
Il condomino non può sottrarsi all'obbligo di contribuire alle spese per la conservazione delle parti comuni, neanche modificando la destinazione d'uso della propria unità immobiliare, salvo quanto disposto da leggi speciali. Ad esempio, la trasformazione dell'unità immobiliare da abitazione a immobile a uso industriale non comporta la facoltà di non pagare l'onere economico incombente pro quota per i beni e servizi comuni. Il proprietario dell'unità immobiliare così trasformata non può tralasciare il pagamento delle spese a suo carico. Il richiamo alle disposizioni speciali pare essere un rimando vuoto, non essendo note. La norma sembrerebbe lasciar intendere, poiché si esprime in termini di spese di “conservazione” dei beni del condominio, che le spese straordinarie possono essere abdicate. Così non è in ragione della giurisprudenza da sempre esistente sul tema.
Come accennato, il tema del riscaldamento e del distacco dall'impianto di riscaldamento centralizzato ad opera del singolo è stato spesso affrontato dalla giurisprudenza: il principio è che la rinuncia è lecita sempreché non si aggravi la posizione degli altri condomini. Con il nuovo art. 1118 c.c. il distacco è possibile se non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri abitanti dell'edificio, fermo restando il concorso del condomino rinunciante alle spese per la manutenzione straordinaria dell'impianto, per la sua conservazione e messa a norma. La norma pare richiedere, diversamente da quanto affermato in precedenza dalla giurisprudenza, che la rinuncia è possibile se non è tale da pesare in misura considerevole sul funzionamento dell'impianto in quanto dal distacco non devono derivare “notevoli squilibri”. Questa facoltà è prevista anche per l'impianto di condizionamento. La giurisprudenza si è maggiormente espressa in tema di impianto condominiale di riscaldamento, essendo raro che vi sia anche un servizio centrale di refrigerazione dell'aria. Comunque, ove questo impianto sia esistente in condominio, il singolo può esercitare il proprio distacco negli stessi termini con cui può rinunziare al servizio centralizzato di riscaldamento (Cass. n. 8750 del 31 maggio 2012)
Occorre poi in quest'ambito prestare attenzione alla normativa regionale
Ad esempio, in Piemonte è consentito il distacco dall'impianto termico centralizzato di riscaldamento, nel rispetto delle due condizioni previste dalla legge nazionale e cioè che non si creino notevoli squilibri di funzionamento dell'impianto termico, né aggravi di spesa per gli altri condomini (legge n. 220 dell'11/12/2012).
Negli edifici con più di 4 unità abitative, non è consentito installare impianti autonomi, si possono installare solo apparecchiature non rientranti nella definizione di impianto termico (art. 2, lettera l – tercies del d.lgs n. 192/2005) quali: stufe, caminetti, radiatori individuali: “....purchè non siano fissi e quando la somma delle potenze nominali del focolare degli apparecchi al servizio della singola unità immobiliare non sia maggiore o uguale a 5 kW...”

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