Condominio

La prelazione scatta anche in caso di vendita all’asta. Ma senza risarcimenti

di Valeria Sibilio

Lo scioglimento della comunione dei beni tra persone, al di là delle problematiche eccezionali conseguenti all'evento stesso, può avere ulteriori ripercussioni giudiziarie quando questo interviene su un immobile condotto da un terzo attore. L’ordinanza della Cassazione 22333 del 2017 ha esaminato un caso nel quale due proprietari e locatori di un complesso immobiliare lo avevano venduto all'asta pubblica, nell'ambito di un giudizio di scioglimento della loro comunione di beni. Questo, contro le ragioni della conduttrice dell'attività di parcheggio nel complesso immobiliare che dichiarava di vantarne diritti di prelazione e di riscatto. La richiesta di risarcimento danni presentata dalla conduttrice, non trovava esito positivo in Corte d'Appello che respingeva le motivazioni inerenti il presunto proprio diritto di proprietà dal momento in cui ne aveva esercitato il diritto di riscatto e l'erronea sussistenza di una preclusione amministrativa all'esercizio dell'attività di parcheggio - sulla base di una norma di legge abrogata- a suo dire inventata dalla controparte. Il danno, per la ricorrente, era quantificabile con l'ammontare del canone annuo versato. Per la Corte, il diritto di prelazione del conduttore di immobile destinato a uso diverso da quello abitativo non è escluso dal fatto che il bene locato, appartenente a più persone, venga venduto all'asta nell'ambito di un giudizio di scioglimento della comunione tra i proprietari locatori. Inoltre, tale diritto di prelazione non è escluso dalla previsione contrattuale che inibisca al conduttore lo svolgimento di attività implicanti contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, in presenza di un uso effettivo dell'immobile, implicante quei contatti. Uso conforme a quello convenuto o implicitamente assentito dal locatore.
Il Tribunale aveva accertato che l'attività prevalentemente svolta dalla conduttrice nell'area scoperta del complesso, autorizzata e gestita per essere utilizzata da terzi interessati come spazio di parcheggio, aveva natura imprenditoriale e la prevalenza economica di tale attività risultava dal contratto che assegna il 70% del canone all'utilizzazione dell'area scoperta. Il servizio di parcheggio e custodia dei veicoli era offerto dietro compenso in prevalenza a clientela occasionale, per cui l'immobile risultava aperto ad un numero indeterminato di utenti. Inoltre, l'attività aveva acquistato, nel tempo, valore aggiuntivo di avviamento.
La Cassazione ha dichiarato, perciò, il ricorso inammissibile, condannando la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in complessivi euro 8.200,00, di cui euro 8.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge, in favore della controricorrente.

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