Condominio

Il negozio partecipa alle spese per il portone

di Marco Panzarella e Matteo Rezzonico

Il portone d’ingresso rappresenta il principale punto d’accesso allo stabile e ha la funzione di mettere in comunicazione le persone che vi abitano con l’esterno. L’articolo 1117 del Codice civile lo inserisce fra le parti comuni dell’edificio e, di conseguenza, salvo che un regolamento condominiale contrattuale non disponga diversamente, tutti i proprietari delle unità immobiliari sono tenuti a contribuire, in proporzione ai millesimi di proprietà in loro possesso, alle spese necessarie per il mantenimento e il suo corretto funzionamento. Così, qualora sia necessario un intervento di manutenzione, ristrutturazione o la completa sostituzione del portone, l’assemblea di condominio è chiamata ad approvare la delibera con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio. Se il guasto al portone automatizzato rischia di mettere a repentaglio la salute dei residenti, l’amministratore, che per l’articolo 1130, comma 1, numero 4) del Codice civile è tenuto a «compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell’edificio» può “scavalcare” l'assemblea e affidare di sua iniziativa l’incarico a un’impresa specializzata. L’articolo 1135, comma 2, prevede infatti che questi «(...) non può ordinare lavori di manutenzione straordinaria, salvo che rivestano carattere urgente, ma in questo caso deve riferirne nella prima assemblea». Se non vi sono dubbi sull’iniziativa dell’amministratore, è più complicato capire il meccanismo di ripartizione delle spese. Nel caso in oggetto, il proprietario del locale commerciale è chiamato a contribuire alla spesa di riparazione del portone, pur dichiarando di non farne mai uso. L’articolo 1123 del Codice civile, che disciplina la ripartizione delle spese delle parti comuni, pur affermando che le stesse «(...) sono sostenute dai condòmini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno» dispone che «se si tratta di cose destinate a servire i condòmini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell’uso che ciascuno può farne». È evidente che i proprietari delle unità immobiliari utilizzino il portone “in misura diversa” rispetto al proprietario del negozio, che accede ai suoi locali da un altro ingresso e, di conseguenza, quest’ultimo dovrebbe essere esentato dal pagamento delle spese. Ma non è così. Sul punto, in passato la Cassazione (16 ottobre 1956, n. 3644) ha chiarito come «(...) i portoni d’ingresso devono ritenersi dei beni comuni a tutti i condòmini ai sensi dell'art. 1117 cod.civ. indipendentemente dal loro utilizzo e quindi tale presunzione vale per i condòmini la cui proprietà esclusiva è servita da ingresso indipendente». Qualche anno dopo la Suprema Corte (sentenza 15 novembre 1977, n.4986) ha ribadito che «(...) il portone d’ingresso dell’edificio costituisce proprietà comune tra tutti i condòmini, pertanto, la relativa spesa di manutenzione e ricostruzione spetta a ciascun condomino in proporzione ai millesimi di proprietà». In seguito, la Corte d'appello di Milano (sentenza 3 luglio 1992, Arch. locazioni 1993, 309) ha specificato che «(...) anche i proprietari di unità aventi accesso autonomo dalla strada debbono concorrere alle spese di manutenzione inerenti all’androne ed alle scale (nella specie: portone, moquette e passatoia dell’ingresso, nonché illuminazione dei servizi comuni) in quanto costituiscono elementi necessari per la configurazione stessa del fabbricato ed in quanto rappresentano strumenti indispensabili per il godimento e la conservazione delle strutture di copertura, cui tutti i condomini sono tenuti per la salvaguardia della proprietà individuale e per la sicurezza dei terzi».

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