Condominio

Usucapione, non bastano diffida e vendita del bene

di Saverio Fossati

Non basta mandare diffide e proteste, non basta neppure vendere la proprietà: i termini dell’usucapione decorrono inesorabilmente e allo scadere dei vent’anni il possessore può esercitarne il diritto.

Il caso esaminato dalla Cassazione (sentenza 20611, depositata ieri) riguarda una persona che si era impossessata di un terreno sin dal 1970, utilizzandolo uti dominus, cioè come se ne fosse il proprietario . A nulla erano servite due missive inviate dai legittimi proprietari nel 1985, in quanto, per la Cassazione «possono avere efficacia interruttiva solo atti che comportino per il possessore la perdita materiale del potere di fatto sulla cosa», come «la notifica dell’atto di citazione con il quale venga richiesta la consegna materiale di tutti i beni immobili sui quali si vanti un diritto dominicale», per esempio «perché passati in proprietà esclusiva con sentenza passata in giudicato per effetto di divisione in lotti di un compendio ereditario».

In particolare, specifica la Cassazione, né la diffida né la messa in mora servono a interrompere una prescrizione. Non solo: dato che tra proprietari e possessore c’era stato uno scambio di lettere nel quale si evidenziava la consapevolezza del secondo circa la sua mancanza di titoli ufficiali di proprietà, i primi avevano fatto leva anche su questo ma la Cassazione è stata fermissima: non è sufficiente questa consapevolezza ma occorre che «il possessore esprima la volontà non equivoca di attribuire il diritto reale al suo titolare», il che, trattandosi di qualcuno che sta cercando di impossessarsi del bene, appare francamente poco probabile.

Né, tantomeno può servire la vendita del bene a terzi, come era avvenuto: l’atto di disposizione del diritto dominicale da parte del proprietario «in favore di terzi, anche se conosciuto dal possessore, non esercita alcuna incidenza sulla situazione di fatto utile ai fini dell’usucapione, rappresentando, rispetto al possessore, “res inter alios acta”».

Il risultato è stato che la richiesta dei ricorrenti (cioè di coloro che vantavano il diritto reale di proprietà sul terreno) è stata cassata senza rinvio e i soccombenti sono stati anche condannati a pagare le spese di giudizio (con il raddoppio del contributo unificato) .

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