Condominio

Compensi troppo bassi agli amministratori, ecco le cause

di Francesco Schena

Sono ormai numerose le indagini statistiche (tra le ultime, quella da me condotta per Il Sole 24 Ore i cui risultati verranno resi pubblici in un convegno presso la sede del Sole il 24 ottobre prossimo) che certificano come in Italia il compenso medio mensile riconosciuto dal mercato agli Amministratori di condominio sia molto basso rispetto a quanto accade negli altri Paesi europei.
In questo breve articolo azzarderò una mia personale tesi sulle ragioni di questo incredibile divario che vede il compenso medio italiano superato anche del 350%.
Partirei da una riflessione di economia spicciola come base delle mie tesi. Sappiamo tutti come il cosiddetto prezzo di mercato di un dato bene sia determinato da una serie di forze e fattori diversi tra di loro che, nell'insieme, concorrono al famoso punto di incontro tra domanda e offerta e come questa teoria si basi su una serie di assiomi. Tra questi ultimi vorrei ricordarne alcuni: il famoso consumatore coerente, in grado di riconoscere un bisogno ed effettuare delle scelte altrettanto coerenti, la lealtà della concorrenza del mercato, la capacità di spesa del consumatore. Aggiungiamo anche la famosa teoria del prezzo che diminuisce all'aumentare dell'offerta. A questo punto, posto che non mi ritengo un economista di professione, mi fermerei qui con questa prima introduzione e passerei all'analisi di aspetti del mercato di riferimento strettamente legati a questi semplici principi sopra enunciati.
Partiamo dalla capacità del consumatore di riconoscere il bisogno di rivolgersi ad un Amministratore di condominio qualificato, professionale e preparato. Esiste nel condòmino medio italiano questo fattore? La risposta è secca: NO. Il condòmino/consumatore italiano vive la sua esperienza di comunità condominiale con sofferenza e come un peso, un fardello di cui farebbe volentieri a meno e quindi l'unico interesse che ha è quello di pagare il meno possibile in termini di quote condominiali. Il condòmino italiano (sempre con riferimento a quello medio) in assemblea perde quella capacità di analisi e valutazione che fuori da quel contesto avrebbe comunque, ad esempio quando acquista un nuovo cellulare o cambia l'automobile. Quando si tratta di deliberare una spesa comune, difatti, come per magia perde tutte le capacità cognitive, tanto da non riuscire nemmeno a leggere i documenti proposti tranne che in un solo rigo, solitamente l'ultimo: il mitico prezzo! E si, perché, infondo, un appaltatore vale l'altro, un fornitore vale l'altro, e, dunque, un amministratore vale l'altro, sono tutti uguali e pure tutti ladri. A questo punto è più che coerente la scelta di ridurre i danni scegliendo almeno quello che costa meno. La coerenza, dunque, c'è, ma si tratta di una coerenza tipica e prerogativa non del singolo sig. Rossi della situazione, ma del sig. Rossi in assemblea. Infatti, fuori dal contesto condominiale il sig. Rossi sa benissimo che un cellulare non è come un altro e che le automobili non sono tutte uguali.
Ecco, la prima causa del compenso basso degli Amministratori di condominio in Italia è di tipo culturale: una bottiglia d'acqua da mezzo litro può ben valere 3 euro in aeroporto a Malpensa ma tanto non può valere il lavoro mensile di un professionista colmo di responsabilità e attribuzioni di ogni sorta. E non importa a nessuno se l'Amministratore sa redigere un rendiconto perfetto, se ha evitato contenziosi onerosi (non se ne accorgono nemmeno), se ci mette la faccia con i fornitori che attendono di essere pagati, se riesce a spuntare prezzi di favore per i suoi clienti. Non importa a nessuno se sa scrivere correttamente un verbale ed evita impugnazioni e contestazioni (anche in questo caso, non se ne accorge nessuno), se per recuperare le morosità deve ricorrere per decreto ingiuntivo e perdere pure le simpatie di chi lo aveva precedentemente nominato. L'unica cosa che conta è che sia presente, che spesso si faccia vedere sul posto e che soprattutto assecondi tutte le più sciocche richieste dei signori condòmini, tipico retaggio culturale di subalternità: “Tanto, cosa vuoi che sia fare l'amministratore, l'ho fatto anch'io in passato e, anzi, ti dico pure come devi farlo tu adesso!!” Insomma, il condomino italiano guarda all'amministratore come ad un servizio commerciale piuttosto che ad un professionista e quindi ciò che conta sono solo gli aspetti “percepibili”, ignorando la verifica della formazione professionale obbligatoria, le competenze acquisite e tanto altro ancora.
Poi c'è la concorrenza, ovviamente quella sleale. Doppiolavoristi, dopolavoristi, tuttologi, improvvisati, fai da te e chi più ne ha più ne metta. Pseudo professionisti che non hanno nemmeno un ufficio, condòmini che amministrano il loro edificio con il classico “rimborso spese”, insegnanti universitari o vigili urbani che “arrotondano” lo stipendio amministrando soltanto 40, 60 o 100 condomini. A questi aggiungiamo il sommerso fatto da chi lavora senza una partita iva, evadendo fisco e previdenza. Insomma, un esercito di circa 300.000 amministratori contro i soli 28.000 circa che svolgo questa professione in via esclusiva e con tutti i crismi del caso. Dunque, un'offerta smisurata rispetto alle esigenze del mercato e pure sleale con la conseguenza che il professore universitario (che nessuno oserebbe contraddire, vuoi vedere, è un professore universitario, sarà un super esperto di condominio!!) o il vigile urbano (super esperto pure lui) amministrano decine e decine di condomini con compensi che arrivano anche ad 1 euro al mese per unità immobiliare. E poi c'è la concorrenza sleale indotta dall'egemonia culturale che ancora, nel 2017, fa presa sui clienti finali: l'avvocato che fa l'amministratore, il commercialista che fa l'amministratore, l'ingegnere che fa l'amministratore. Ed ecco che fa comodo nominare come amministratore un avvocato piuttosto che “un semplice” 'amministratore , vuoi mettere, ne saprà certamente di più, è un avvocato! Come fa comodo nominare il commercialista piuttosto che un “normale” amministratore: vuoi mettere, almeno col fisco e con la contabilità siamo certi di non avere problemi! Oppure l'ingegnere, che fa sempre comodo, così i sopralluoghi li fa lui e ci scappa anche qualche perizia... Ma poi, ci sono avvocati che non sanno nulla di sicurezza o di contabilità (a dire il vero alcuni nemmeno di condominio!), ci sono commercialisti che pensano che il bilancio condominiale sia uguale a quello aziendale e che il condominio ha la partita Iva o ingegneri che non sanno scrivere un verbale senza che qualcuno lo impugni. Insomma, certamente ci sono tanti avvocati, commercialisti, ingegneri o altri professionisti che curano tantissimo la preparazione da amministratore ma in tanti altri non lo fanno e il cliente tutto questo non lo sa e si affida, ancora una volta, all'ennesimo retaggio, quella della egemonia culturale di professioni certamente molto più nobili quanto più antiche, con buona pace del “semplice” amministratore che si vede costretto a competere sul mercato ad armi impari.
Queste, a mio sommesso avviso, sono alcune delle cause che determinano compensi così bassi per gli Amministratori ma ci sono anche motivi ben precisi per cui questo stato di cose non cambia: quella dell'Amministratore non è del tutto una professione (piuttosto, un incarico da codice civile) e la categoria, associazioni comprese, non fanno nulla perché le cose cambino.
Davanti ad un consumatore incoerente e ad un mercato senza regole non c'è alcuna “sana” selezione del mercato e nessun mercato libero che tenga. In questo Paese si scambia il mercato libero col mercato senza regole e le professioni sono tali solo se c'è un corrispettivo Ordine professionale.

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