Condominio

Più difficile usucapire i beni comuni

di Paolo Accoti

Per usucapire un bene comune il possesso deve essere incompatibile con quello degli altri comproprietari.

Per i beni in “compossesso”, ai fini dell’usucapione, l’utilizzo esclusivo della cosa comune da parte del singolo compossessore non risulta sufficiente, essendo necessaria invece la dimostrazione concreta del possesso esclusivo sul bene comune, apertamente antitetico e chiaramente incompatibile con il possesso altrui, e l’onere della prova grava su colui il quale invoca l’avvenuta usucapione del bene comune. Questo il principio di diritto ribadito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 16414, pubblicata il 4 luglio 2017.

La Corte d’Appello di Roma, bocciando il sì del Tribunale a una richiesta di usucapione di un terreno avanzata da due dei “compossessori”, spiegava che «il comproprietario può usucapire la quota degli altri comproprietari estendendo la propria signoria di fatto sulla res communis in termini di esclusività, ma che a tal fine non è sufficiente che gli altri partecipanti si siano limitati ad astenersi dall’uso della cosa, occorrendo, per converso, che il comproprietario usucapiente ne abbia goduto in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui, in modo tale, cioè, da evidenziarne una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus», circostanza, a dire della Corte territoriale, che non sarebbe emersa nel corso del giudizio.

La Suprema Corte ritiene corretta la decisione della Corte d’appello, atteso che la stessa si è uniformata al principio di diritto per cui in tema di compossesso, il godimento esclusivo della cosa comune da parte di uno dei compossessori non è, di per sé, idoneo a far ritenere lo stato di fatto così determinatosi funzionale all’esercizio del possesso per usucapione e non anche, invece, conseguenza di un atteggiamento di mera tolleranza da parte dell’altro compossessore.

Risulta quindi necessario, a fini dell’usucapione, la manifestazione del dominio esclusivo attraverso un’a ttività durevole, apertamente contrastante e inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui, gravando l’onere della relativa prova su colui che invochi l’avvenuta usucapione del bene (Cassazione, sentenze 19478/2007, 12775/2008 e 17512/2016.

Nel caso concreto, afferma la Corte di Cassazione, non solo non è stata raggiunta questa prova, ma anche la scrittura privata intervenuta tra i comproprietari non dimostra che gli stessi abbiano inteso dismettere il loro diritto limitandosi, al contrario, a suddividere la spesa necessaria all’accatastamento del bene comune.

Peraltro, l’assenza di manifestazione del dominio esclusivo impedisce anche l’eventuale tutela possessoria da parte del comproprietario, atteso che «La disposizione dell’art. 1102, comma 2, c.c., secondo la quale il partecipante alla comunione non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso, impedisce al compossessore, che abbia utilizzato la cosa comune oltre i limiti della propria quota, non solo l’usucapione ma anche la tutela possessoria del potere di fatto esercitato fino a quando questo non si riveli incompatibile con l’altrui possesso. Le concrete modalità di godimento della cosa comune, desumibili dall’art. 1102 c.c., assurgono, dunque, a possibile contenuto di una posizione possessoria tutelabile contro tutte le attività con le quali uno dei compossessori comproprietari unilateralmente introduca una modificazione che sopprima o turbi il compossesso degli altri» (Cassazione, sentenza 10624/2015).

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