Condominio

L’uso delle telecamere e il rispetto dei diritti tra privacy e sicurezza

di Augusto Cirla

La videosorveglianza è ormai diventata il mezzo più diffuso per tutelare la sicurezza sia personale sia dei luoghi dove si vive o si lavora. Ci sono però precise regole da rispettare, perché i sistemi di videosorveglianza - indipendentemente da dove operano (in condomìni come in abitazioni singole, in negozi come in magazzini) - non devono pregiudicare la riservatezza, l’intimità e il riserbo di tutti coloro che frequentano gli spazi interessati dalle telecamere, la cui installazione è soggetta, oltre che al rispetto della disciplina in materia di protezione dei dati personali, anche all’osservanza delle norme degli ordinamenti civile e penale.

Triplice condizione

Le dimensioni assunte dal fenomeno hanno spinto il Garante della privacy a intervenire più volte per individuare un punto di equilibrio tra esigenze di sicurezza, di prevenzione e di repressione dei reati, e diritto alla riservatezza e libertà delle persone. È principio ormai consolidato che la videosorveglianza deve rispettare una triplice condizione: liceità, necessità e proporzionalità.

Proprio per evitare di incorrere nel reato di interferenze illecite nella vita privata (articolo 615-bis del Codice penale) è opportuno, innanzitutto, che l’angolo visuale delle riprese sia limitato ai soli spazi di propria esclusiva competenza, quali possono essere quelli immediatamente antistanti l’ingresso dell’edificio o della singola unità immobiliare, senza estendere la ripresa a luoghi circostanti o a particolari estranei alla necessità di salvaguardia della sicurezza.

La posa e l’installazione delle telecamere, con annessi impianti di videosorveglianza, richiede giustificate esigenze di tutela dei diritti costituzionalmente garantiti (criterio della proporzionalità), essendo questi impianti essenzialmente finalizzati a preservare la sicurezza delle persone e la tutela di beni da concrete situazioni di pericolo, di regola costituite da illeciti già verificatisi: il che porta ad escludere che possano essere installati laddove le finalità del trattamento si riescano a realizzare con l’impiego di altri mezzi similari, quali la presenza di personale addetto esclusivamente alla protezione oppure di sistemi di allarme o altri controlli collegati a istituti di vigilanza. Le telecamere sono dunque illegittime se installate in luoghi non soggetti a concreti pericoli o per i quali non sussistono effettive esigenze di controllo (criterio della necessità).

Prima di decidere l’installazione, è doveroso, pertanto, eseguire una vera e propria operazione di bilanciamento tra il diritto alla sicurezza delle persone e quello di tutela dei dati personali di tutti coloro che, per qualsiasi motivo, si trovano a frequentare il luogo interessato dalla videosorveglianza.

La tutela della privacy

Tra le misure primarie da rispettare per l’uso di sistemi di videosorveglianza in condominio vi è l’obbligo di segnalare con appositi cartelli (con contenuto e forma suggeriti dal Garante della privacy) la presenza delle telecamere, stante l’innegabile condizionamento per il movimento e il comportamento delle persone. Non a caso, è vietata l’installazione di telecamere finte o non funzionanti, perché in grado anch’esse di influire in tal modo su chi il condominio.

L’informativa, di dimensioni adeguate e in posizione ben visibile, può essere fornita con formule sintetiche, purché chiare e senza ambiguità, oppure con simboli di esplicita e immediata comprensione. Tale estremo slancio di tutela della privacy potrebbe anche destare perplessità, se si considera che la possibilità di accesso nelle aree comuni è consentita da un lato agli stessi condòmini, che, avendo deliberato l’installazione dell’impianto, ben sono a conoscenza dell’esistenza di esso; dall’altro, a persone estranee al condominio che potrebbero temere di essere videosorvegliate specialmente nel caso in cui intendano svolgere attività illegittime, e in questo caso si rischierebbe di agevolarle. Tuttavia, una informazione preventiva potrebbe dissuadere questi soggetti dal perseguire le proprie intenzioni illecite.

Sempre in tema di condominio, i singoli proprietari non possono sopportare, senza il loro consenso, una ingerenza nella loro riservatezza, che non dev’essere pregiudicata, seppure per il fine di sicurezza di chi riprende tramite le telecamere le parti comuni. La legge di riforma della disciplina condominiale, n. 220/2012, ha introdotto il nuovo articolo 1122-ter del Codice civile, in tema di videosorveglianza delle parti comuni, disponendo che le delibere concernenti l’installazione di impianti di videosorveglianza sono approvate dall’assemblea con il voto della maggioranza degli intervenuti portatori di almeno la metà del valore millesimale.

La fattispecie prevista dalla riforma è quella dell’installazione di impianti di videosorveglianza su parti comuni, con raggio d’azione unicamente su di esse. Si tratta, quindi, di un’attività compiuta dal condominio, basata su un preventivo pronunciamento deliberativo dell’assemblea e i cui costi di installazione sono sostenuti da tutti i condòmini in ragione dei rispettivi millesimi.

Restano al di fuori di tale disciplina gli impianti installati dai singoli condòmini, che, sebbene senza obbligo di segnalare la presenza del sistema di videosorveglianza con un apposito cartello, devono però limitare il raggio di azione delle riprese video sulle parti di loro pertinenza esclusiva: è questa, infatti, l’unica condizione da rispettare per colui che vuole sistemare una telecamera sul pianerottolo per controllare l’ingresso al suo singolo appartamento, con esclusione di ogni forma di ripresa e di registrazione di immagini relative ad aree comuni (cortili, pianerottoli, scale, garage comuni), o ad ambiti antistanti l’abitazione di altri condòmini: la ripresa di aree altrui non è ammessa nemmeno nel caso in cui lo scopo di tale installazione sia la propria sicurezza, messa in pericolo in seguito ad alcuni episodi di furti ed effrazioni.

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