Condominio

Riforma, un'analisi critica - 5. L'utilizzo del conto corrente

di Francesco Schena

Il settimo comma del nuovo articolo 1129 del codice civile, novellato dalla legge di riforma n. 220/2012, così recita: “L'amministratore è obbligato a far transitare le somme ricevute a qualsiasi titolo dai condòmini o da terzi, nonché quelle a qualsiasi titolo erogate per conto del condominio, su uno specifico conto corrente, postale o bancario, intestato al condominio; ciascun condòmino, per il tramite dell'amministratore, può chiedere di prendere visione ed estrarre copia, a proprie spese, della rendicontazione periodica.”
E' di evidente, dunque, il tentativo del Legislatore di introdurre un sistema di controllo sull'operato dell'amministratore in ordine ai flussi di danaro che interessano le casse condominiali. Ma l'iniziativa adotatta presenta qualche profilo di criticità.
Innanzitutto va sottolineata l'assenza di un chiaro obbligo ad utilizzare il conto corrente come strumento di pagamento essendo stato concepito come mero registratore di cassa per via del solo transito dei flussi, con la conseguenza che l'amministratore può certamente continuare sia ad incassare quote condominiali in contanti che a pagare anche i fornitori con gli stessi contanti purchè si sia premurato di garantirne il preliminare “transito”.
Questo precetto, però, non solo non soddisfa appieno quella che poteva essere una vera e propria funzione di cartina tornasole del conto corrente ma contrasta anche con una novità introdotta dalla stessa legge: si tratta del caso della confusione patrimoniale.
Invero, quando l'amministratore incassa quote in contanti e poi le versa sul conto corrente potrebbe non avere, in quel momento, strumenti adeguati per assegnare loro una tracciabilità tale da poterli ricondurre ai nominativi dei rispettivi condòmini che hanno precedentemente versato le quote nelle sue mani. In buona sostanza, l'estratto conto potrebbe riportare un mero versamento in contanti senza la possibilità di risalire ai condòmini che hanno precedentemente effettuato il pagamento presso l'ufficio dell'amministratore. Certamente a fronte di quei versamenti ci sarebbero delle ricevute rilasciate dallo stesso amministratore ma questo non è sufficiente ad assegnare al versamento sul conto corrente una sua tracciabilità. Infatti, le ricevute possono sempre essere smarrite o contestate per falso e il versamento in contanti potrebbe addirittura essere ricondotto ad una anticipazione fatta da parte dell'amministratore, con tutto quello che ne deriverebbe in termini proprio di confusione tra il patrimonio personale dell'amministratore e quello del condominio.
A quanto può servire, dunque, la mera registrazione dei flussi su un conto corrente senza che vi sia assicurata una rispettiva tracciabilità fino all'ultimo centesimo? Se l'obiettivo del legislatore era quello di poter comunque fare i conti in tasca all'amministratore dalla sola analisi della rendicontazione periodica del conto corrente il risultato finale è centrato solo parzialmente.
Al contrario, qualora la norma avesse previsto sia l'obbligo di riscuotere le somme dai condòmini esclusivamente con modalità tracciata che l'obbligo di pagare anche le spese comuni in pari modo, l'obiettivo voluto dalla legge sarebbe stato raggiunto in maniera compiuta e adeguata rispetto a tutto l'impianto della novella del 2012.
Inoltre, il versamento delle quote condominiali direttamente sul conto corrente da parte dei singoli partecipanti avrebbe certamente costituito un vero e granitico elemento di garanzia per il condòmino prima e in favore di una possibile revisione contabile dopo e, cosa non di poco rilievo, avrebbe consentito agli amministratori di sottrarsi a rischi di rapine in occasione di incassi ingenti.

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