Condominio

Così si modificano le «destinazioni d’uso»

di Anna Nicola

Nel codice civile vi è una nuova norma in ambito di beni in condominio. Si tratta dell'Art. 1117 ter c.c., rubricato “Modificazioni delle destinazioni d'uso”, che così recita: “Per soddisfare esigenze di interesse condominiale, l'assemblea, con un numero di voti che rappresenti i quattro quinti dei partecipanti al condominio e i quattro quinti del valore dell'edificio, può modificare la destinazione d'uso delle parti comuni.
La convocazione dell'assemblea deve essere affissa per non meno di trenta giorni consecutivi nei locali di maggior uso comune o negli spazi a tal fine destinati e deve effettuarsi mediante lettera raccomandata o equipollenti mezzi telematici, in modo da pervenire almeno venti giorni dalla data di convocazione.
La convocazione dell'assemblea, a pena di nullità, deve indicare le parti comuni oggetto della modificazione e la nuova destinazione d'uso.
La deliberazione deve contenere la dichiarazione espressa che sono stati effettuati gli adempimenti di cui ai precedenti commi.
Sono vietate le modificazioni delle destinazioni d'uso che possono recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato o che ne alterano il decoro architettonico.
Il nuovo art. 1117 ter c.c. ha l'intento di disciplinare la materia dell'uso delle parti comuni.
Ogni bene o servizio comune è destinato a essere utilizzato da parte dei singoli condomini. L'uso può essere in ragione della sua funzione (si pensi al cortile del condominio dove i bimbi possono andare a giocare) o della destinazione conferita dal regolamento dell'edificio (si pensi, sempre, al cortile del condominio destinato per regolamento a parcheggio delle vetture degli abitanti dello stabile).
La modifica della destinazione di un bene o servizio condominiale è possibile sempreché vi sia un interesse collettivo da soddisfare. Negli esempi appena formulati, l'assemblea può deliberare di destinare una parte del cortile a parcheggio delle automobili dei condomini e un'altra parte a parco giochi.
La decisione assembleare deve essere tale da rendere migliorativo l'uso futuro del bene, anche solo nel senso di un maggior suo rendimento e miglior godimento e/o utilizzo.
Le modificazione d'uso dei beni condominiali hanno da sempre rappresentato una percentuale considerevole delle cause in ambito condominiale. Spesso il singolo condomino si è ritenuto e si ritiene legittimato a mutare autonomamente la finalità di un bene, che è sempre stata a favore della collettività, in ragione di un proprio godimento. Così può essere il caso di un soggetto che parcheggia la propria vettura in un angolo del cortile, di spazio poco più grande della sua automobile, senza permettere agli altri di poter utilizzare questo spazio. Questo mutamento soggettivo perpetuo non è possibile, non essendovi un sottostante interesse della collettività dell'edificio. Occorre che la modifica sia tesa a soddisfare esigenze di interesse condominiale e che la relativa decisione sia assunta in sede di riunione. Mentre non è prescritto alcun quorum costitutivo, il quorum deliberativo è particolarmente qualificato: la decisione deve essere assunta da un numero di condomini che rappresentino i quattro quinti dell'intera collettività dell'edificio e che, nello stesso tempo, siano rappresentanti nella stessa misura –quattro quinti- in termini di tabelle millesimali. Se il condominio è costituito da dieci persone, la decisione deve essere presa con il voto favorevole di otto condomini che rappresentino 800 millesimi.
Si richiede che la scelta di destinare diversamente un bene o servizio comune sia ponderata e il più possibile condivisa. Non essendovi alcuna diversa prescrizione, la deliberazione deve essere presa con il rispetto di questa maggioranza anche nel caso in cui di seconda convocazione. In assenza di esplicita indicazione del quorum di costituzione dovrebbero valere i principi generali sanciti dall'art. 1136 c.c. Il primo comma di quest'ultima disposizione, in tema di maggioranza costitutiva della riunione, è stato modificato dalla novella: occorre la presenza in assemblea di tanti condomini che rappresentino i due terzi del valore dell'edificio e, nello stesso tempo, siano la maggioranza dei partecipanti al medesimo. Nel caso dell'edificio composto da dieci soggetti, occorre la partecipazione alla riunione di almeno sei condomini rappresentanti almeno 666,666 millesimi.
Ciò significa che il quorum costitutivo ordinario nel nostro caso non è sufficiente: una simile costituzione non permetterebbe di poter deliberare con i quorum prescritti dalla specifica norma di cui all'art. 1117ter c.c.
Poiché le modifiche previste dall'art. 1117ter c.c. richiedono maggioranze particolarmente qualificate ai fini della valida assunzione della deliberazione, la seconda convocazione deve essere formata da un numero di persone nettamente superiore a quello sancito in termini generali dall'art. 1136 c.c. (Cass., Sezione 2 civile , Sentenza 2 marzo 2010, n. 4970)
Ci si chiede perché sia imposta una maggioranza così elevata quando l'attività è volta a un interesse comune di tutti i condomini. La logica avrebbe dovuto portare a ritenere corretto l'esatto contrario
Anche la convocazione assembleare è un po' particolare con adempimenti precipui non domandati in altre sedi, quali l'affissione dell'avviso negli spazi di maggior uso comune o a quelli a questo scopo destinati, per un periodo consecutivo di almeno 30 giorni. Si pensi ad esempio alla bacheca esistente al piano terreno di fianco all'ascensore. Sebbene non è indicato, questo periodo deve essere a ridosso dell'indicenda assemblea. Contestualmente è previsto anche l'invio della convocazione tramite lettera raccomandata – come già di prassi prima della riforma, sebbene non previsto da alcuna norma - o la comunicazione per posta elettronica, o con altri mezzi telematici, almeno venti giorni prima della riunione.
L'affissione e l'invio al singolo condomino non sono tra loro alternativi, trattandosi di modalità di convocazione obbligatori e concomitanti. Questi sistemi di chiamata all'assemblea sono tesi a limitare i contenziosi sino ad oggi instaurati per mancata convocazione del singolo, non avendo il precedente legislatore sancito alcuna modalità di avviso. Stante il tenore letterale della norma, il condomino si vede recapitare a casa la raccomandata (a.r. o in via informatica, se il condomino ne è in possesso) di convocazione della riunione almeno venti giorni prima della riunione, oltre a vedere la convocazione negli spazi comuni di maggior uso o nella bacheca sopra detta affissa per almeno un mese consecutivo, prima dell'assemblea.
La giurisprudenza, prima della riforma, dichiarava la libertà di forma dell'indizione della riunione di condominio, salvo poi riscontare difficoltà oggettive nel raggiungimento del relativo onere probatorio da parte dell'amministratore di condominio.
Se l'amministratore aveva convocato i singoli condomini per telefono, gli diventava difficile dimostrare di aver telefonato a tutti i condomini per convocarli alla riunione (Cass. civ. Sez. II Sent., 01/04/2008, n. 8449, Trib. Salerno Sez. I, 14/10/2009, Cass. civ. Sez. II Sent., 13/11/2009, n. 2413)
Questa disposizione, per quanto attiene il tema dell'avviso di convocazione in generale, richiama l'art. 66 Disp. Att. c.c., il cui testo anteriore alla novella era il seguente: “L'assemblea, oltre che annualmente in via ordinaria per le deliberazioni indicate dall'art. 1135 del codice, può essere convocata in via straordinaria dall'amministratore quando questi lo ritiene necessario o quando ne è fatta richiesta da almeno due condomini che rappresentino un sesto del valore dell'edificio. Decorsi inutilmente dieci giorni dalla richiesta, i detti condomini possono provvedere direttamente alla convocazione. In mancanza dell'amministratore, l'assemblea tanto ordinaria quanto straordinaria può essere convocata a iniziativa di ciascun condomino. L' avviso di convocazione deve essere comunicato ai condomini almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza”. La giurisprudenza ha da sempre affermato che il decorso del termine sancito dalla norma era -non dal giorno in cui è stato inviato l'avviso di convocazione dell'assemblea- bensì dalla data in cui detta comunicazione è effettivamente ricevuta da tutti i condomini (Trib. Roma, 09-06-2009). Poiché il computo si riferisce a giorni non liberi, si deve escludere il giorno iniziale, mentre si calcola quello finale: il conteggio deve essere effettuato a ritroso, partendo dal giorno immediatamente precedente a quello della riunione che deve essere tenuta (Trib. Monza, 09-09-2008).
Come detta l'art. 66 disp. Att. C.c., il legislatore si è premurato di colmare la lacuna legislativa in tema di libertà delle forme dell'avviso di convocazione. Esso deve essere trasmesso sempre per raccomandata con ricevuta di ritorno, consegnato a mano, posta elettronica certificata o a mezzo fax. Si tratta di strumenti tra loro alternativi.
Al fine di permettere una consona valutazione in merito alla modifica del bene comune che si andrà a discutere e decidere nella riunione di condominio, occorre che l'avviso di convocazione sia specifico, dovendosi esprimere in termini ben precisi sia per la parte comune interessata dall'intervento, sia per la sua destinazione finale. Il bene che si vuole modificare deve essere ben identificato; la modifica d'uso che si intende operare deve essere determinata e individuata, dovendo indicare la sua destinazione d'uso finale. Riprendendo l'esempio di prima, l'avviso di convocazione deve specificare che la modifica concerne il cortile del condominio e che la stessa concerne la destinazione di una sua certa parte a parcheggio delle automobili dei condomini e di un altro determinato spazio a parco giochi. Sarebbe opportuno indicare quali sono gli spazi destinati all'uno e all'altro servizio, individuandone l'estensione e l'ubicazione.
Se la chiamata dell'assemblea non rispetta queste condizioni, è prevista la sanzione della nullità. Non è specificato il termine di riferimento dell'asserita invalidità: se è l'avviso di convocazione a essere nullo o la conseguente assemblea. La riunione non dovrebbe invalidarsi ove sia totalitaria. La novella pare contraddire i principi affermati dalla giurisprudenza in tema di invalidità delle riunioni di condominio. Per principio generale, esse sono affette da annullabilità se c'è un vizio attinente al procedimento collegiale mentre sono nulle nei casi in cui si può riscontrare un vizio di nullità contrattuale. Sono affette da nullità le deliberazioni prive degli elementi essenziali o contrarie a norme imperative di legge, con contenuto illecito o impossibile, che incidono sulla proprietà esclusiva dei condomini, senza legittimazione dal regolamento contrattuale o infine che non rientrano nei poteri dell'assemblea (Cass. civ. Sez. Unite Sent., 07/03/2005, n. 4806)
L'avviso di convocazione per le decisioni in esame ha un contenuto più complesso rispetto all'avviso che si è soliti trasmettere ai condomini. La precisazione richiesta dalla norma in esame sottrae l'avviso di convocazione all'indicazione dei soli elementi essenziali degli argomenti da trattare nella riunione. La giurisprudenza sul tema da sempre afferma che è sufficiente l'evidenziazione degli argomenti posti all'ordine del giorno, senza richiedere particolari prescrizioni di contenuto. Diversamente dagli altri casi, qui occorre prestare attenzione al rispetto delle condizioni richieste per la chiamata dell'assemblea che deve decidere a riguardo della destinazione d'uso di beni e/o servizi comuni. (Cass. civ. Sez. II Sent., 10/10/2007, n. 21298)
Il verbale dell'assemblea deve riportare che sono state rispettate tutte le modalità di invio dell'avviso di convocazione di cui in precedenza. Con quest'ultima specificazione, si ritiene che il legislatore abbia principalmente inteso che dal verbale di assemblea deve risultare il rispetto di tutti gli adempimenti prodromici alla deliberazione di modifica, cioè che l'avviso di convocazione è stato inviato con le modalità qui prescritte e che il suo contenuto è nei termini richiesti dalla norma. Questa indicazione verrà riportata nelle premesse del verbale, essendo necessaria la sua specificazione prima di entrare nel merito della discussione e successiva decisione. La mancata indicazione nel verbale di assemblea di effettuazione di questi adempimenti si dovrebbe configurare come motivo di annullamento della decisione condominiale, qualificandosi come omissione di prescrizioni di cui alla procedura di convocazione (Cass., Sezioni Unite, del 07/03/2005 n. 4806)
L'art. 1117ter c.c. procede sancendo il divieto delle modificazioni delle destinazioni d'uso che possono recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato o che ne alterano il decoro architettonico. Nei primi due casi, si pensi ad esempio all'ipotesi in cui, per abbellire l'edificio, il condominio voglia deliberare di posizionare in aderenza una torre di pari altezza, che stante la vetustà del palazzo, può essere pericolosa. In ambito decoro architettonico, se l'edificio è in stile ottocentesco, l'assemblea non può deliberare di posizionare un tetto super-moderno.
Il termine “stabilità” pare rimandare a concetti atmosferici che possono minare la solidità dell'edificio. Si pensi alle zone terremotate: un certo intervento strutturale può essere particolarmente pericoloso dove il terreno è esposto a movimenti di equilibrio e di assesto.
Mentre la sicurezza e la stabilità del fabbricato sono termini di utilizzo ordinario, il decoro architettonico può non essere di immediata comprensione. Con questa espressione si intende il complesso armonico della struttura dell'edificio e delle sue parti (Tribunale Bologna, Sezione 3 Civile, Sentenza del 6 aprile 2011, n. 1064, Tribunale Roma, Sezione 5 Civile, Sentenza del 23 marzo 2011, n. 6130, Cass. civ. Sez. II, 22/08/2003, n. 12343)
Nella valutazione della incidenza sul decoro architettonico di un'opera modificativa di un edificio non può essere ignorata la eventuale situazione di degrado di detto decoro per preesistenti modificazioni per le quali non sia stato esercitato il diritto a pretendere il ripristino (Cass., 26 febbraio 2009 n 4679).
La Suprema Corte di recente (Cassazione, Sezione 2 Civile n. 1748/2013 del 1/2/2013) ha affermato che “legittimamente le norme di un regolamento di condominio aventi natura contrattuale, in quanto predisposte dall'unico originario proprietario dell'edificio ed accettate con i singoli atti di acquisto dai condomini ovvero adottate in sede assembleare con il consenso unanime di tutti i condomini possono derogare od integrare la disciplina legale ed in particolare possono dare del concetto di decoro architettonico una definizione piu' rigorosa di quella accolta dall'art. 1120 cod. civ., estendendo il divieto di immutazione sino ad imporre la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all'estetica, all'aspetto generale dell'edificio, quali esistenti nel momento della sua costruzione od in quello della manifestazione negoziale successiva”.
L'opera eventualmente compiuta dal singolo condomino in pregiudizio del decoro architettonico, anche se nel rispetto dello stile architettonico dell'edificio, è illegittima e deve essere demolita (Cassazione, 22 marzo 2013, n. 7327, Cassazione, 1/2/2013, n. 1748, Cassazione, 24/04/2013 n. 10048)
La specificazione, seppur premiante in quanto chiarificatrice, pare essere un eccesso di zelo. Si tratta dei limiti sanciti da sempre in tema di innovazioni, la cui portata era già stata estesa dalla giurisprudenza anche alle semplici modifiche delle parti condominiali di cui all'art. 1102 c.c. che non comportano il cambiamento della destinazione d'uso (Tribunale Trento, civile – Sentenza 16 maggio 2013, n. 432, Cass. civ., sez. Il, 12-02-1998, n. 1498, Tribunale di Milano, 28 febbraio 1991)
L'intento innovativo è quello di tutelare l'edificio anche nel caso in cui la modificazione della destinazione d'uso del bene comune sia decisa non dal singolo, come dettato dall'art. 1102 c.c., ma dalla collettività del condominio, con le maggioranze qualificate qui prescritte. Si tratta di divieti insormontabili se non in ragione di una decisione unanime, salvo il rispetto dell'incolumità dei condomini e dei terzi (Cass., 04.02.2013, n. 2500, Cass., 6 ottobre 1999, n. 11121)

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