Condominio

Riforma, un’analisi critica - 1. La modificazione delle destinazioni d'uso

di Francesco Schena

Con questo articolo prende il via una serie di interventi di analisi critica e pragmatica degli effetti della riforma a quasi quattro anni dalla sua piena attuazione.
Lo scopo è quello di mettere in fila una serie di considerazioni che oltre a confrontarsi con la giurisprudenza che man mano ha avuto modo di prendere corpo in questo periodo, guardino al profilo di attuazione concreta della novella, non omettendo quell'attenzione necessaria alle difficoltà pratiche e quotidiane che gli addetti ai lavori incontrano nel mondo reale.
Il primo tema affrontato è quello della modificazione delle destinazioni d'uso delle parti comuni, introdotto dal nuovo art. 1117-ter del codice civile.
Le novità sono essenzialmente due: la prima è la possibilità della modificazione della destinazione d'uso senza la necessaria unanimità dei consensi da parte dei partecipanti, come invece è stato sempre ritenuto ante riforma, e la seconda è quella che vede l'introduzione di un nuovo e distinto iter di convocazione.
Il Tribunale di Pordenone, con sentenza n. 79 del 2 febbraio 2016 ha ritenuto che destinare una parte di giardino a spazio di manovra non costituisce alcuna modificazione di destinazione. Già la Suprema Corte, in più occasioni ha distinto le mere modificazioni alle modalità d'uso dalle modifiche significative sul piano sostanziale della destinazione d'uso. Dunque, l'argomento non è proprio dei più chiari e la scrittura di questa novella confligge con uno degli obiettivi voluti dal Legislatore del 2012 che è era certamente quello di ridurre il contenzioso. L'auspicio è che si consolidi presto una giurisprudenza chiara ed univoca su questo aspetto.
Inoltre, l'incipit della norma subordina la facoltà di cambiare la detinazione d'uso alla preventiva individuazione di una esigenza di interesse condominiale da soddisfare, e qui il dibattito potrebbe allargarsi di molto. Si tratta di un aspetto ancora non affrontato dai giudici ma che in realtà costituisce la conditio sine qua non alla legittimità della deliberazione con il voto dei 4/5. Ma cosa deve intendersi per esigenza di interesse comune? Evidentemente non è al pari di un “semplice” interesse comune il quale potrebbe sorvolare sull'aspetto della necessarietà e, per giunta, l'assenza di una preventiva esigenza significherebbe violare il principio che impedisce ogni innovazione o provvediemnto che determina l'inservibilità del bene comune anche ad uno solo dei condòmini. Allora c'è da chiedersi se cambiare la destinazione di un vano da sala riunioni a zona ludica per i bambini sia in realtà un'esigenza valida a sostenere la deliberazione o se l'esigenza è più agevolmente ravvisabile rispetto al disuso di un bene comune come può esserlo un vano abbandonato da tempo. Inoltre, come può essere possibile determinare i confini di “un interesse condominiale” e come contemperarli tra di loro? E' tale anche quello che può andare contro gli interessi di una minoranza? Il problema si pone perché nel caso prima esposto sia la sala riunioni che la zona ludica potrebbero rispondere ad una esigenza condominiale ma come stabilire quella prioritaria resta il vero tema.
L'art. 1117-ter introduce, inoltre, un nuovo iter ad hoc per la convocazione dell'assemblea chiamata a discutere la modificazione. L'avviso deve essere affisso per non meno di trenta giorni consecutivi nei locali di maggiore uso comune o negli spazi dedicati alle comunicazioni come può esserlo la classica bacheca condominiale. Resta da capire come dimostrare in un eventuale giudizio i trenta giorni consecutivi di affissione e da chiedersi quanto l'interruzione dell'affissione perché staccata da un condòmino burlone possa influire su profili di annullabilità della convocazione. Un rimedio potrebbe essere fornito dalla bacheca elettronica gestita da portali web terzi e garanti ma in un'epoca in cui le morosità in condominio aumentano sempre di più il rischio che una tale spesa sia ritenuta dai condòmini supeflua non è affatto remoto.
L'avviso di convocazione, poi, deve contenere sin da subito, a pena di nullità, la nuova destinazione d'uso che si vuole proporre. Nell'ottica di una preventiva informazione e partecipazione consapevole da parte dei condòmini la norma ha il suo perché ma questo impedisce alla medesima assemblea di poter individuare una diversa e più preminente esigenza sorta solo in fase di discussione, costringendo a ripetere la convocazione e l'assemblea.
Da ultimo, il quorumo deliberativo individuato appare da subito troppo alto e ai limiti della praticabilità in un contesto come quello italiano che vede mediamente e a stento la presenza di voti in assemblea per appena poco più della metà del valore. Raggiungere contestualmente il voto favorevole da parte dei 4/5 dei partecipanti al condominio (e non degli intervenuti) e contestualmente rappresentare anche 800 millesimi è pura utopia.
Se a questo aggiungiamo anche la necessità di avere i 4/5 del valore dell'edificio anche per cambiare la destinazione d'uso di un bene che serve solo ad un gruppo di condòmini appare evidente l'impossbilità pratica a raggiungere tali quorum per il disinteresse comune.
Nel suo complesso, quindi, una norma che appare di difficilissima attuazione e ralizzazione sul piano pratico ma che presta molto bene il fianco all'aumento del contenzioso.
Francesco Schena

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