Condominio

Non è sempre violenza privata tagliare i palloni usati per giocare in cortile

di Paolo Accoti

La convivenza in condominio spesso è difficile, alcune volte intollerabile, ed uno dei problemi maggiormente “sentiti” è quello delle immissioni rumorose provenienti dall'appartamento del vicino o dagli spazi comuni.
Il nostro ordinamento prevede diverse soluzioni, anche in via d'urgenza, per far cessare le immissioni che superano la normale tollerabilità, tuttavia, non appare sopito l'insano desiderio di “farsi giustizia da sé”, dimenticando che tali condotte spesso e volentieri sfociano in veri e propri illeciti penali.
Il discrimine tra una reazione smodata ed un comportamento penalmente rilevante a volte è estremamente labile, tanto che risulta difficile discernere le condotte pertinenti su un piano etico e sociale ma, comunque, “giuridicamente irrilevanti”, da quelle che sfociano in un vero e proprio abuso.
Una tale questione è stata di recente affrontata dalla Corte di Cassazione chiamata a giudicare un condomino in relazione al reato di violenza privata, previsto e punito dall'art. 610 Cp, a mente del quale <<chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare, od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni. La pena è aumentata se concorrono le condizioni prevedute dall'articolo 339 (vale a dire in presenza di circostanze aggravanti, ad esempio, quando violenza o la minaccia è commessa con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite)>>.
L'imputato, “alla sbarra” per il delitto di atti persecutori, in quanto più volte aveva minacciato, aggredito ed ingiuriato alcuni ragazzi che giocavano a pallone nel cortile condominiale, nel tentativo di far cessare il disturbo arrecato, anche tagliando con un coltello i palloni utilizzati dagli stessi, veniva condannato in primo grado alla pena di quattro mesi di reclusione.
Sul gravame proposto dal medesimo, la Corte d'Appello di Salerno, in parziale riforma della sentenza, dopo aver provveduto ad una diversa qualificazione del reato, ritenendo sussistere per il fatto contestato la differente ipotesi delittuosa della violenza privata, riduceva la pena a due mesi di reclusione.
La Corte, per ritenere integrata tale fattispecie teneva conto della circostanza per la quale i bambini, intimoriti dal comportamento dell'imputato, sovente erano obbligati a rientrare in casa oppure evitavano di giocare con la palla nel cortile.
Proposto ricorso per cassazione, il condomino deduceva, tra l'altro, la violazione dell'articolo 610 Cp, nonché il difetto e l'illogicità della motivazione. A tal proposito, riferiva come la condotta posta in essere era esclusivamente volta al rispetto del regolamento condominiale che, appunto, prevedeva il divieto di giocare a pallone durante certi orari della giornata e che, ad ogni modo, alcun effetto l'azione dell'imputato aveva sortito nei confronti dei bambini che, nel tempo, avevano continuato a giocare nel piazzale dello stabile.
La Corte di Cassazione, premette che <<è noto che l'oggetto di tutela del reato in questione è dato dalla libertà individuale, intesa come possibilità di determinarsi spontaneamente, secondo motivi propri. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, l'obiettività giuridica del delitto di violenza privata consiste nella tutela della libertà individuale come libertà di autodeterminazione e di azione (Sez. 5, n. 2283 del 11/11/2014 - dep. 16/01/2015, C, Rv. 26272701); perché attinga la soglia del penalmente rilevante, però, la violenza o la minaccia deve determinare una perdita o riduzione sensibile, da parte del soggetto passivo, della capacità di determinarsi ed agire secondo la propria volontà (Sez. 5, n. 3562 del 09/12/2014. - dep. 26/01/2015, Lillia, Rv. 262848)>>.
Ciò posto, afferma la Corte che, tuttavia, <<non ogni forma di violenza o minaccia, quindi, riconduce alla fattispecie dell'art. 610 cod. pen., ma solo quella idonea - in base alla circostanze concrete - a limitare la libertà di movimento della vittima o influenzare significativamente il processo di formazione della volontà, incidendo su interessi sensibili del coartato. A tanto conduce sia il principio di offensività, sia l'esigenza di confinare nel “giuridicamente indifferente” i comportamenti costituenti violazioni di regole deontologiche, etiche o sociali, inidonei - pur tuttavia - a rappresentare un reale elemento di turbamento per il soggetto passivo>>.
Nel caso di specie, conclude la Corte, non risulta la sussistenza del reato contestato, atteso che la condotta posta in essere dall'imputato era “giustificata” dalla volontà di far rispettare il regolamento condominiale e che, in ogni caso, non vi era stata alcuna coercizione della volontà dei minori i quali, anche se temporaneamente si allontanavano, nondimeno continuavano a riprendere i loro giochi.
Pertanto, il ricorso è accolto e la sentenza annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.

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