Condominio

Errori o ampliamenti: i millesimi si cambiano senza l’unanimità

di a cura diMarco Panzarella e Silvio Rezzonico

Le tabelle millesimali sono uno strumento necessario per garantire il buon funzionamento del condominio. I millesimi, espressione del rapporto fra il valore di ciascuna unità immobiliare e quello dell’intero edificio, indicano in che modo ripartire le spese ordinarie e straordinarie che riguardano le parti comuni e, soprattutto, stabiliscono il “peso” di ciascun partecipante nel momento in cui occorre esprimere il voto in assemblea. Le tabelle, secondo la legge, devono essere allegate al regolamento condominiale e sono redatte da un tecnico (ingegnere, architetto, geometra eccetera) che utilizza i parametri più opportuni, nell’ambito di quelli indicati nella circolare ministeriale 12480/1966.

Non è da escludere, quindi, che i valori millesimali della stessa unità immobiliare possano differire a seconda del tecnico che ha curato la tabella. Di regola, si tiene conto di metri quadrati o cubatura, eventuale presenza di balconi e terrazze, altezza del piano in cui si trova l’alloggio (l’attico è più “prezioso” di un primo piano), esposizione e illuminazione, orientamento rispetto ai punti cardinali (da preferire il Sud) e destinazione dei locali (a parità di metri quadrati, vale più un salone ampio che uno stretto corridoio).

Le possibilità

Le tabelle millesimali possono essere modificate in qualsiasi momento, a condizione che tutti i condòmini siano d’accordo. In determinate situazioni, per deliberare a favore della variazione, può anche essere sufficiente il quorum stabilito dall’articolo 1136, comma 2, del Codice civile, vale a dire un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio. Ciò si verifica, a norma dell’articolo 69 delle disposizioni di attuazione del Codice civile, quando risulta che le tabelle siano conseguenza di un errore o qualora siano mutate le condizioni di una parte dell’edificio.

Per quanto concerne l’errore, in molti casi è difficile risalire ai parametri utilizzati dal tecnico, soprattutto se la tabella è stata redatta molti anni prima. Inoltre, accade di frequente che il perito attribuisca i millesimi senza fornire una relazione giustificativa. Sulla questione è più volte intervenuta la Corte di cassazione. Le Sezioni unite (sentenza 24 gennaio 1997, n. 6222) hanno stabilito che «l’errore il quale, ai sensi dell’articolo 69 disp. att. c.c., giustifica la revisione delle tabelle millesimali, non coincide con l’errore vizio del consenso, disciplinato dagli articoli 1428 e seguenti, ma consiste nell’obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari e il valore proporzionale a esse attribuito nelle tabelle, senza che in proposito rilevi il carattere negoziale della formazione delle stesse».

In sostanza, la revisione delle tabelle si riferisce solo all’eventuale errore tecnico, senza alcun riferimento al consenso di chi aveva firmato le tabelle allegate a un regolamento contrattuale. Un’altra sezione della Suprema corte (1° marzo 2000, n. 2253) ha sostenuto, invece, che «l’errore non rileva nella sua oggettività, ma solo in quanto abbia determinato un vizio del consenso». La modifica sarebbe, quindi, possibile solo nel caso in cui chi ha firmato il contratto sia stato tratto in errore al momento dell’accettazione dello stesso. Poiché, peraltro, nessuna singola sezione della Corte ha richiesto la modifica della pronuncia delle Sezione unite, deve ormai valere il principio secondo cui si configurano come errori tutti quelli obiettivamente verificabili, che comportano una non corrispondenza tra il valore attribuito nella tabella alle unità immobiliari e il valore effettivo delle stesse, indipendentemente dal carattere negoziale o meno della determinazione delle tabelle millesimali.

Il secondo motivo che può determinare una revisione con il voto della sola maggioranza qualificata ricorre quando, in conseguenza di sopraelevazione, incremento di superfici o di incremento o diminuzione delle unità immobiliari, il valore proporzionale dell’unità immobiliare, anche di un solo condomino, risulti alterato per più di un quinto. In questo caso il costo per modificare la tabella è sostenuto da chi ha dato luogo alla variazione.

Le responsabilità

Lo stesso articolo 69 prevede che «ai soli fini della revisione dei valori proporzionali espressi nella tabella millesimale allegata al regolamento di condominio... può essere convenuto in giudizio unicamente il condominio in persona dell’amministratore. Questi è tenuto a darne senza indugio notizia all’assemblea dei condòmini. L’amministratore che non adempie a quest’obbligo può essere revocato ed è tenuto al risarcimento degli eventuali danni». Una disposizione innovativa rispetto al passato – quando si richiedeva l’intervento obbligatorio di tutti i condòmini – e non da tutti condivisa, in quanto l’amministratore è legittimato a occuparsi delle parti comuni dell’edificio e non delle proprietà esclusive cui si riferiscono le tabelle millesimali, salvo il caso in cui il condomino interessato non gli conferisca un mandato ad hoc per l’intervento in giudizio.

Una volta revisionata la tabella, qualora sia provato che uno o più condòmini hanno tratto vantaggio dal precedente errore, il condominio, entro 10 anni, può procedere per indebito arricchimento (articolo 2041 del Codice civile) e ottenere un rimborso, comprensivo di interessi, da chi non ha pagato, ad esempio, le spese per un intervento di manutenzione.

Si tenga presente che in tal caso non è di alcuna utilità la procedura di revisione della tabella, che non ha portata retroattiva e i cui effetti si realizzano solo con il passaggio in giudicato della sentenza (Cassazione, sentenza 8 settembre 1994, n. 7696, secondo cui «la sentenza che accoglie la domanda di revisione o modifica dei valori proporzionali di piano nei casi previsti dall’ art. 69 disp. att. cod. civ., non ha natura dichiarativa ma costitutiva, avendo la stessa funzione dell’accordo raggiunto all’ unanimità dai condòmini, con la conseguenza che l’efficacia di tale sentenza, in mancanza di specifica disposizione di legge contraria, inizia a decorrere solo dal passaggio in giudicato»).

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