Condominio

Preliminare risolto, caparra da restituire

di Antonino Porracciolo

Dopo la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento del promissario acquirente, il giudice può condannare il promittente venditore alla restituzione della caparra confirmatoria solo se l’altra parte lo ha chiesto. Lo ricorda la Corte d’appello di Roma (presidente e relatore Sorace) in una sentenza del 12 ottobre 2016.

I fatti risalgono al 2006, quando le parti avevano stipulato un preliminare di compravendita di un immobile. I promissari acquirenti, dopo aver versato la prima parte della caparra, dichiaravano di recedere dal contratto per inadempienze dei promittenti venditori. I quali, a loro volta, in via riconvenzionale chiedevano la risoluzione del contratto per l’omesso versamento del secondo acconto. Con sentenza del 2013, il tribunale, in accoglimento della domanda principale, affermava la legittimità del recesso degli attori e condannava i convenuti a pagare 60mila euro, pari al doppio della caparra versata (articolo 1385, comma 2, del Codice civile). Contro la sentenza, i promittenti alienanti presentavano appello, ribadendo la richiesta di risoluzione del negozio preliminare.

Nell’accogliere l’impugnazione, la Corte rileva che solo i promissari acquirenti erano inadempienti, non avendo versato la seconda rata della caparra. Di conseguenza - proseguono i giudici -, per evidente violazione degli accordi da parte degli stessi promissari, «andava pronunciata la risoluzione di diritto», espressamente prevista da una clausola pattizia.

Quanto alle conseguenze patrimoniali, la Corte esclude che i promissari acquirenti possano essere condannati a pagare la parte di caparra non versata. Infatti, la pronuncia di risoluzione di diritto del contratto «paralizza ogni pretesa» che le parti possano fondare sull’accordo ormai privo di effetti; anzi, obbliga i promittenti alienanti, che hanno optato per la declaratoria di risoluzione piuttosto che per il recesso, a restituire la caparra ricevuta dai promissari.

Infatti, quando la parte non inadempiente (nel caso in esame: gli appellanti, promittenti venditori) chieda la risoluzione invece di recedere ritenendo la caparra, quest’ultima perde la funzione di anticipazione del danno e può essere trattenuta solo fino alla determinazione del risarcimento.

In ogni caso, il diritto dell’altra parte a ottenere la restituzione deve essere esercitato con un’espressa domanda all’interno del processo, sicché - conclude la Corte, citando la sentenza 3810/2003 della Cassazione - il giudice non può provvedere d’ufficio.

Nel caso esaminato dai giudici, i promissari acquirenti avevano chiesto, sia pure in via subordinata, la risoluzione del contratto e la restituzione della caparra. Così gli appellanti, benché vincitori, sono condannati a pagare 30mila euro, pari all’importo che avevano ricevuto dopo la firma del preliminare. Si tratta di un’obbligazione che non ha natura risarcitoria, e dunque è soggetta al principio nominalistico; di conseguenza, sull’importo devono essere calcolati solo gli interessi e non la rivalutazione.

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