Condominio

Recupero crediti a fine mandato

di Enrico Morello

L’amministratore che si trovi a dover recuperare un credito, alla fine del mandato, nei confronti del condominio ha davanti a sé varie scelte processuali. La “strada” principale da percorre potrebbe essere quella di instaurare (inutilmente espletato il tentativo di mediazione) un giudizio ordinario notificando atto di citazione: nel giudizio l’attore (cioè l’amministratore stesso) dovrà fornire piena prova del proprio credito, il che potrebbe presentare delle complicazioni qualora, come a volta accade, l’amministratore abbia operato in modo non facilmente ricostruibile magari anticipando somme per conto del condominio.

In un caso del genere, tutt’altro che infrequente, non sarà possibile per l’amministratore limitarsi a fornire prove documentali (ad esempio relative al compenso pattuito con il condominio per il proprio operato) ma egli dovrà probabilmente richiedere una Ctu, cioè che il Giudice dia incarico a un perito di ufficio di ricostruire esattamente e per quanto possibile, i rapporti economici dare-avere intercorsi tra le parti.

È accaduto, in passato, che un Condominio abbia agito ritenendo di essere in credito nei confronti del proprio ex amministratore, per poi scoprire, dopo l’espletamento della Ctu, di essere viceversa in debito e vedersi condannare a rimborsare quanto dovuto.

Poiché alla soccombenza della parte segue necessariamente (salvo casi eccezionali) la condanna “alle spese di lite”, il che può costituire un aggravio anche notevole per chi abbia inopinatamente promosso un giudizio, l’amministratore che abbia qualche difficoltà a ricostruire (e soprattutto a fornire prova) il credito esatto vantato nei confronti dello stabile già amministrato, per evitare il rischio di una causa ordinaria può ricorrere a uno strumento processuale di relativamente (anno 2005) recente introduzione.

Si tratta dell’articolo 696 bis del Codice di procedura civile, che prevede che «l’espletamento di una consulenza tecnica in via preventiva può essere richiesto (…) ai fini dell’accertamento e della relativa determinazione di crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito».

In questo tipo di procedimento, in sostanza, qualora il giudice ammetta la richiesta di parte ricorrente, verrà dato incarico ad un perito di ufficio di rispondere ad un quesito vertente sulla esistenza o meno del credito reclamato dall’attore e sulla entità dello stesso.

Tale istituto, al quale l’amministratore potrebbe essere interessato a ricorrere qualora non sia per lui agevole fornire piena prova del proprio credito, presente svariati vantaggi consistenti, anzitutto, nei minori costi da affrontare rispetto a quelli di un giudizio ordinario.

In altre parole il giudice, alla fine del procedimento basato sull’articolo 696 bis, non emetterà alcuna sentenza od ordinanza ma anzi il giudizio si concluderà semplicemente con il deposito del proprio elaborato (contenente la risposta al quesito formulatogli dal tribunale) da parte del perito incaricato (che le parti possono fare coadiuvare da un proprio tecnico di fiducia).

Per quanto il giudizio non si concluda con una condanna, il che potrebbe sembrare limitativo per le ragioni fatte valere dal ricorrente, è anche vero che il ricorrente, una volta che l’esistenza di un credito in suo favore sia stato confermato dalla perizia disposta dal Tribunale, potrà instaurare un giudizio ordinario (probabilmente ricorrendo alle forme abbreviate di cui all’articolo 702 bis del Codice di procedura civile) avendo la quasi certezza di vedere accolte le proprie richieste.

Occorre dire, inoltre, che l’articolo 696 bis del Codice di procedura civile prevede anche l’obbligo per il perito di ufficio di tentare la conciliazione tra le parti, il che potrebbe portare ad una transazione che renderebbe inutile il deposito della perizia.

Il codice di procedura prevede che la richiesta del ricorrente di disporre una Ctu in base all’articolo 696 bis del Codice di procedura civile possa essere accolta anche qualora non ricorra alcun requisito, quale ad esempio l’urgenza, particolare in merito alla fondatezza della domanda presentata.

Il Tribunale di Milano, tuttavia, con sentenza del 13 aprile 2011, ha evidenziato che la consulenza preventiva in base all’articolo 696 bis del Codice di procedura civile, potendo trovare applicazione anche al di fuori di una situazione di urgenza, non partecipa della natura cautelare tipica degli altri mezzi di istruzione preventiva, e che pertanto «i presupposti di ammissibilità della consulenza tecnica preventiva devono necessariamente essere ancorati al fumus boni iuris del diritto tutelando nel successivo ed eventuale giudizio di merito».

Il che significa, in altre parole, che il Tribunale potrebbe respingere il ricorso di cui all’articolo 696 bis del Codice di procedura civile e quindi non disporre lo svolgimento di una perizia, qualora la domanda del ricorrente sia palesemente priva di credibilità.

Anche in questo caso, tuttavia, è certamente preferibile, in termini meramente economici, vedere negate le proprie richieste dopo una semplice richiesta basata sul 696 bis e non, magari, al termine di un costoso e duraturo procedimento ordinario.

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