Condominio

Per il risarcimento da immissioni di fumo e rumore occorre sempre la Ctu

di Edoardo Valentino

In caso di immissioni provate il giudice ha l'onere di accertare le ripercussioni sulla salute di chi le patisce disponendo la consulenza tecnica d’ufficio (Ctu). Così dice la Cassazione, che ha depositato ieri una sentenza (la n. 17685/2016) in materia di immissioni in condominio.
In particolare, nel caso in questione, il giudice di merito era stato adito da una coppia di coniugi la quale lamentava l'immissione di fumi, rumori e vibrazioni nel loro alloggio provenienti dalla confinante attività di sfasciacarrozze. Essi, inoltre, affermavano di avere riportato delle patologie derivanti dalle predette immissioni e recavano certificati medici a riprova di quanto riportato.
Il giudice di primo grado rilevava la sussistenza di quanto affermato dai due coniugi, ma respingeva la loro domanda di risarcimento del danno alla salute in quanto essi non avrebbero fornito prova sufficiente sia del superamento del limite di normale tollerabilità delle immissioni, che del nesso di causalità che avrebbe legato queste ai pregiudizi da loro patiti.
I giudici di appello, tuttavia, rigettavano nuovamente le domande dei due coniugi.
La vicenda, impugnata nuovamente dai due coniugi condòmini, veniva sottoposta al vaglio della Corte di Cassazione.
Nella sentenza della Suprema Corte si possono individuare alcuni importanti principi di diritto civile e processuale; sia in materia di immissioni in condominio che sulla corretta valutazione della prova da parte del giudice.
La disciplina delle immissioni è contenuta nel Codice Civile, che al primo comma dell'articolo 844 afferma che “il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi”.
In buona sostanza, quindi, anche in presenza di immissioni (che come detto possono essere di fumi, odori, rumori e anche vibrazioni) il soggetto che le sopporta non ha diritto ad alcuna tutela legale se queste non sono tanto intense da superare il citato limite di normale tollerabilità. Il significato è che qualora vi siano delle immissioni di una intensità tollerabile chi le subisce avrebbe l'onere di tollerarle senza possibilità di intimarne la cessazione al responsabile.
Per avere una tutela legale le immissioni devono essere quindi intollerabili, anche avuto riguardo alla natura dei luoghi.
Diversa, invece, la questione della risarcibilità del danno causato dalle immissioni. Il danno in oggetto, infatti, sarebbe solamente risarcibile nel caso la vittima riesca a provare il nesso di causalità che lega l'immissione al pregiudizio subito dalla propria salute.
Nel caso in oggetto la Corte d'Appello aveva valutato la presenza di una “situazione certamente difficile” di immissioni di rumori e fumi cagionata dall'attività di sfasciacarrozze, peraltro confermata dai testimoni.
Nonostante le varie prove a sostegno di quanto affermato dagli attori, però, i Giudici del riesame avevano dichiarato l'assenza di prova che legasse le immissioni al danno alla salute degli attori, ritenendo che i certificati medici “non fornivano la dimostrazione necessaria sul punto”.
La Corte d'Appello, inoltre, aveva negato la possibilità di eseguire una perizia d'ufficio, ritenendo la richiesta degli attori come esplorativa.
La Corte di Cassazione nella propria decisione cassava la sentenza di Appello e rinviava il giudizio al giudice di secondo grado.
Secondo la Suprema Corte, infatti, i giudici d'Appello avrebbero dovuto prendere in considerazione tutti gli elementi di prova del giudizio che concordavano nell'affermare la sussistenza di un danno da immissione.
Si legge nella sentenza della Cassazione infatti che “l'esame delle risultanze acquisite, descritte dettagliatamente in ricorso tanto con riguardo agli atti amministrativi acquisiti, quanto con riguardo alle deposizioni testimoniali, rivela la manifesta insufficienza della motivazione” e specifica che alla luce dei dati raccolti sarebbe stato necessario effettuare in grado di Appello un accertamento peritale.
E' pur vero, infatti, che la consulenza tecnica d'ufficio non deve essere l'unica fonte di prova portata dalla parte che richiede la tutela giudiziale, ma questa deve essere esperita quando la natura tecnica della decisione comporti “l'accertamento di situazioni rilevabili solo con ricorso a determinate cognizioni tecniche”.
Nel caso in oggetto, infatti, tutti i fatti concordavano nel sostenere la tesi de due coniugi e sarebbe stato quindi necessario l'apporto di uno specialista per verificare il nesso causale tra le immissioni e le patologie oggettivamente sofferte dagli attori.
In modo del tutto condivisibile, quindi, la Cassazione cassava e rinviava la sentenza, statuendo come la motivazione in sentenza di rigetto della domanda per mancato assolvimento dell'onere della prova fosse una “formula rinunciataria della decisione delle controversie civili, che deve essere preceduta e giustificata da un vaglio critico e da uno sforzo conoscitivo e valutativo appropriati, mediante opportuno uso delle presunzioni e dei mezzi istruttori che siano nella disponibilità del giudice”.

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