Condominio

La «clausola di stile» individua anche gli spazi comuni

di Luana Tagliolini

Anche le clausole di stile, considerate prive di qualsiasi significato giuridico, potrebbero rendersi utili per stabilire a chi appartiene un bene in condominio.
L'interpretazione di una clausola definita di “stile” contenuta nell'atto di compravendita di un condomino si è rivelata, infatti, fondamentale, per riconoscere la proprietà del lastrico solare in capo al venditore-costruttore.
In tale atto una condomina acquistava l'immobile “… a corpo, con tutti i diritti e le servitù inerenti, le pertinenze, accessori, accessioni, impianti, usi, azioni e ragioni, nello stato di fatto e di diritto in cui esso si trovava e così come dalla parte venditrice si possiede e si ha diritto”.
Tale clausola è stata interpretata in modo da escludere la natura di bene comune al lastrico solare contrastando quanto asserito da una condomina dello stabile la quale aveva adito le vie legali per ottenere il riconoscimento della proprietà comune del lastrico solare e il ripristino della situazione quo ante.
L'attrice, in particolare, lamentava che il venditore-costruttore, tra le diverse opere eseguite, aveva trasformato la destinazione dei locali lavatoi, posti all'ultimo piano, in abitazione asservendogli anche l'intero lastrico solare, nonché aveva posto dei cancelli sulle scale in corrispondenza del pianerottolo del terzo piano impedendo l'accesso al piano attico.
Il venditore convenuto, nel contestare le pretese attrici, eccepiva che le parti comuni di cui l'attrice rivendicava la condominialità dovevano intendersi escluse dalla comproprietà condominiale perché rimaste nella proprietà esclusiva del venditore sin dall'inizio.
Il tribunale, analizzato attentamente il titolo di acquisto dell'attrice, interpretando le clausole e tenuto conto della situazione di fatto esistente sin dal principio, è pervenuto alla conclusione che nella vendita all'attrice, non era compreso l'appartamento del quarto piano con la terrazza escludendo, così, entrambi gli immobili dalla comunione.
La corte di merito rigettava l'appello confermando anch'essa che, nel momento dell'acquisto, l'appellante era consapevole che il quarto piano non faceva parte delle parti comuni dell'edificio ma era di proprietà esclusiva.
La Corte di Cassazione (sentenza n. 8492 del 29 aprile 2016), in linea con le precedenti pronunce, nel rigettare il ricorso ha precisato che l'elencazione dei beni indicati nell'articolo 1117 del codice civile non è tassativa ma esemplificativa, e che i suddetti beni si intendono comuni per presunzione derivante sia dall'attitudine oggettiva che dalla concreta destinazione degli stessi al servizio comune.
Nella fattispecie, in concreto, per i giudici di legittimità, stante l'esatta interpretazione dell'atto di acquisto della ricorrente da parte della corte di merito, le indicazioni fornite dal CTU delle pratiche edilizie svolte presso il comune, la situazione di fatto esistente al momento dell'acquisto effettuato dalla ricorrente e di cui quest'ultima era consapevole, la clausola contrattuale richiamata da quest'ultima non era una clausola di stile ma espressiva della volontà delle parti di escludere dalla comunione quelle porzioni di fabbricato di cui chiedeva il riconoscimento della condominialità.
Da non sottovalutare, quindi, le clausole di stile che, se ben interpretate e supportate da un favorevole contesto, possono essere di valido aiuto per accertare la natura condominiale di un bene, non sempre scontata.

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