Condominio

Le differenze tra aspetto e decoro architettonico

di Paolo Accoti


Lo spunto per parlare di tali concetti, spesso al centro di dispute nel condominio, viene fornito da una recente pronunciamento della Corte di Cassazione, la quale con la sentenza n. 2958, del 16 febbraio 2016, pur non entrando nel merito della questione, offre una serie di spunti interessanti per l'approfondimento delle problematiche connesse alle due nozioni.
Il legislatore, pur prevedendone in astratto la lesione, non ha dato una nozione di decoro, men che meno, di aspetto architettonico, neppure nella formulazione della Legge 220/2012, di riforma della materia condominiale.
Gli unici riferimenti codicistici sono quelli contenuti nel comma IV dell'art. 1120 (comma II nella previgente disciplina), per cui: “Sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino” e nel comma III dell'art. 1127 c.c., per il quale: “I condomini possono altresì opporsi alla sopraelevazione, se questa pregiudica l'aspetto architettonico dell'edificio ovvero diminuisce notevolmente l'aria o la luce dei piani sottostanti”.
Ecco che, pertanto, i due concetti vengono in rilievo solo in specifiche fattispecie, quella delle innovazioni, per quanto attiene al decoro architettonico, e quella delle sopraelevazioni, per ciò che concerne l'aspetto architettonico.
Già dalla formulazione delle norme del Codice civile ci rendiamo conto della circostanza per la quale il decoro architettonico è concetto più ampio - ma probabilmente più rigido - rispetto a quello dell'aspetto architettonico, tanto è vero che con riguardo a quest'ultimo, il legislatore ha inteso limitare l'intangibile diritto di proprietà privata, arrivando a precludere al proprietario dell'ultimo piano dell'edificio, la possibilità di costruire, solo qualora ciò comporti una lesione dell'aspetto architettonico.
Al contrario, il diritto di proprietà comune - dal lettura dell'art. 1120 c.c. - risulta inviolabile, qualora la modifica apportata al bene collettivo alteri il decoro architettonico, quand'anche l'innovazione venisse approvata dalla maggioranza degli intervenuti in assemblea ed almeno i due terzi del valore dell'edificio.
Peraltro, l'alterazione del decoro architettonico, quanto agli effetti, è equiparata addirittura alla compromissione della stabilità e della sicurezza dell'edificio, quindi indirettamente al diritto alla salute (ex art. 32 Cost.), atteso che in entrambi i casi la conseguenza è il divieto dell'innovazione comportante le anzidette lesioni.
L'intervento limitativo al pieno godimento della proprietà privata, pertanto, lascerebbe presuppore, in una ipotetica scala di valori tutelabili, che la nozione di decoro architettonico prevale sul concetto di aspetto, posto evidentemente su di un gradino più in basso della tutela.
In assenza di esplicitazione normativa dei due istituti, per comprendere appieno il loro significato, occorre affidarsi alla continua opera interpretativa della dottrina e della giurisprudenza.
Ciò posto, è stato ritenuto che, per aspetto architettonico, comunemente si debba intendere la caratteristica principale insita nello stile architettonico dell'edificio, sicché l'adozione di uno stile diverso da quello della parte preesistente dell'edificio comporta normalmente un mutamento peggiorativo dell'aspetto architettonico complessivo, percepibile da qualunque osservatore (Cfr.: Cass. civ. Sez. II, 27/04/1989, n. 1947).
Concetto ripreso da ultimo, da T.A.R. Liguria Genova Sez. I, 09/07/2015, n. 651, per cui, in materia di condominio, l'aspetto architettonico del fabbricato è nozione che identifica la caratteristica principale insita nello stile architettonico dell'edificio.
Elemento fondamentale insito nel concetto di “aspetto” ovviamente è quello della “visibilità”, pertanto, la giurisprudenza giustamente evidenzia la stretta correlazione esistente tra la visibilità della nuova opera rispetto all'aspetto, giungendo ad affermare come nessun pregiudizio può riscontrarsi in manufatti che siano assolutamente invisibili ai terzi, quand'anche questi modifichino lo stile architettonico dell'edificio (Cfr.: Cass. civ. 24/01/1978 n. 4804 e Cass. civ., 13/04/1981 n. 2189).
Per quanto concerne invece la nozione di “decoro architettonico”, è stato affermato che esso non solo attiene alle linee architettoniche, ma anche all'aspetto armonico del fabbricato.
Tanto è vero che: “Costituisce innovazione lesiva del decoro architettonico del fabbricato condominiale, come tale vietata, non solo quella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche quella che comunque si rifletta negativamente sull'aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l'edificio” (Cass. civ. Sez. II, 11/05/2011, n. 10350).
In altri termini, il decoro architettonico è dato dalla particolare struttura e dalla complessiva armonia che conferiscono al fabbricato una propria specifica identità (In tale senso: Cass. civ. Sez. II, 19/06/2009, n. 14455).
Pertanto, la valutazione del decoro architettonico involge anche l'estetica del fabbricato, vale a dire la bellezza dello stesso, la piacevolezza nel vederlo, e prescinde dal pregio estetico che possa avere l'edificio (Cass. civ. Sez. II, 11/05/2011, n. 10350), a tal proposito, infatti, anche la realizzazione di alcuni fori di porta o di finestra posti sulle facciate dell'edificio, che alterano la simmetria dei fori preesistenti, producendo un risultato esteticamente sgradevole, è stata ritenuta lesiva del decoro architettonico dello stabile (Cfr.: Cass. civ. Sez. II, 22/08/2012, n. 14607).
A ben vedere, quindi, il concetto di decoro architettonico è più ampio, oltre che più rigoroso, rispetto a quello di aspetto architettonico, anzi lo contiene e i due aspetti appaiono imprescindibili l'uno dall'altro.
Ed invero: “La nozione di aspetto architettonico della costruzione sopra l'ultimo piano dell'edificio, di cui all'art. 1127 c.c. non coincide affatto con quella più restrittiva di decoro contemplata dall'art. 1120 c.c., che opera come limite alle innovazioni, sebbene l'una nozione non possa prescindere dall'altra, dovendo l'intervento edificatorio in sopraelevazione comunque rispettare lo stile del fabbricato e non rappresentare una rilevante disarmonia in rapporto al preesistente complesso, tale da pregiudicarne l'originaria fisionomia ed alterare le linee impresse dal progettista” (Cass. civ. Sez. II, 24/04/2013, n. 10048)
Quando il decoro architettonico del fabbricato risulta già compromesso, magari per precedenti innovazioni lesive, non può darsi rilevanza alla successiva innovazione lesiva, se per i precedenti interventi non sia stato disposto il ripristino (In tal senso: Cass. civ. Sez. II, 26/02/2009, n. 4679; Cass. civ. Sez. II Sent., 17/10/2007, n. 21835. Da ultimo: Cass. civ. Sez. II, 10/12/2014, n. 26055)
Così enucleati i concetti di aspetto e decoro architettonico, solo latentemente descritti dalla disciplina codicistica, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di ribadire a più riprese, da ultimo con la sentenza n. 2958, del 16.02.2016, che le parti possono imporre limitazioni, nell'interesse comune, ai diritti dei condomini sui beni comuni e privati, dando del concetto di decoro architettonico una definizione più rigorosa di quella accolta dall'art. 1120 c.c., estendendo il divieto di immutazione sino ad imporre la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all'estetica, all'aspetto generale dell'edificio.
Una tale più rigorosa limitazione, tuttavia, può essere legittimamente imposta solo da un regolamento di condominio - avente natura contrattuale, in quanto predisposto dall'unico originario proprietario dell'edificio ed accettato con i singoli atti di acquisto dai condomini ovvero adottato in sede assembleare con il consenso unanime di tutti i condomini (Cfr.: Cass. civ. Sez. II, 17/06/2015, n. 12582; Cass. civ. Sez. II Sent., 14/12/2007, n. 26468).
Vi è da registrare, tuttavia, una isolata pronuncia, rimasta peraltro senza seguito, che ritiene possibile demandare una tale limitazione al regolamento non contrattuale, predisposto ai sensi dell'art. 1138 c. c. e, pertanto, a maggioranza.
Ciò posto, qualora il regolamento contrattuale (o formato con l'unanimità dei condòmini) lo preveda, come nel caso da ultimo sottoposto all'attenzione della Corte di Cassazione (n. 2958, del 16.02.2016), anche la lesione dell'aspetto architettonico, nello specifico l'alterazione dell'estetica delle facciate, quand'anche non comporti una lesione al decoro, può essere legittimamente tutelata in giudizio, con il ripristino dello stato dei luoghi.

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