Condominio

Gli «interpelli del condominio»: la sostituzione delibera invalida

di Federico Ciaccafava

Soffermiamoci sulla questione relativa alla sostituzione della deliberazione condominiale invalida. Infatti, anche nel regime del condominio negli edifici, può accadere che, una volta impugnata in giudizio una deliberazione, l'assemblea dei condomini abbia interesse a rimuoverla, riunendosi per sostituirla con altra in grado di sanare l'eventuale vizio di invalidità.
Esaminiamo se tale potere sussista o meno anche in capo all'organo assembleare condominiale e quali conseguenze, in caso di suo esercizio, si determinano sul piano strettamente processuale.

D. In primo luogo: può legittimamente l'assemblea dei condomini assumere una delibera in sostituzione di altra precedente già oggetto di impugnazione a motivo della sua invalidità? E, in caso di risposta, affermativa, qual è il fondamento normativo sotteso a tale potere?
R. Al primo quesito può darsi risposta positiva. Infatti, dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che nel regime del condominio degli edifici trovi applicazione la disciplina dei vizi dettata per le delibere delle società di capitali. Infatti – rispondendosi in tal modo anche al secondo interrogativo – costituisce opinione ed indirizzo costante che la disposizione dell'ultimo comma dell'art. 2377 cod. civ. – nel testo ante riforma societaria, essendo, tuttavia, identico il vigente comma 7 del testo attualmente in vigore – secondo cui “..l'annullamento della deliberazione non può aver luogo, se la deliberazione impugnata è sostituita con altra presa in conformità della legge e dell'atto costitutivo..”, benché dettata in riferimento alle società azionarie, abbia carattere generale e sia pertanto applicabile per identità di ratio anche alle assemblee dei condomini di edifici. Naturalmente la decisione di sostituire la delibera impugnata con altra non viziata potrà investire tanto il profilo formale quanto – anche se più raro – quello sostanziale della delibera stessa, attinente cioè al suo oggetto. Si pensi, per quanto concerne la prima e più comune ipotesi, al caso di un'impugnazione avente carattere strumentale o finalità dilatoria proposta da uno o più condomini al solo fine di creare problemi alla compagine condominiale sulla base di un vizio semplicemente formale in quanto attinente alle modalità di convocazione o di svolgimento della riunione. In tali casi, come osservato, anziché esporsi ai rischi di una lunga e costosa lite giudiziaria dall'esito incerto, al condominio potrà convenire, ferma la sostanza della decisione assembleare, sostituire la delibera impugnata con altra presa in conformità della legge o del regolamento di condominio (F. Mainetti).

D. Tanto premesso, quali conseguenze si determinano sul piano processuale?
R. In primo luogo, come precisato dalla stessa Corte di cassazione, ogni qual volta l'assemblea condominiale, regolarmente riconvocata, abbia deliberato sui medesimi argomenti della delibera oggetto dell'impugnazione ponendo in essere, pur in assenza di formule particolari, un atto sostanzialmente sostitutivo di quello invalido si verifica la c.d. “cessazione della materia del contendere” per difetto d'interesse. Infatti, non vi è motivo di far proseguire un giudizio nel quale l'eventuale accoglimento della domanda nessuna conseguenza pratica potrebbe determinare nella gestione del condominio, in quanto i rapporti tra i condomini sono ormai regolati da una deliberazione successiva. Sotto tale profilo, si è osservato che la declaratoria di cessazione della materia del contendere può aver luogo non solo quando venga adottata altra deliberazione avente lo stesso contenuto di quella impugnata, ma anche quando venga adottata una deliberazione di revoca o incompatibile con quella impugnata (M. Andrighetti-Formaggini). Cessata la materia del contendere, il procedimento di impugnazione deve comunque proseguire, fatta salva un'eventuale transazione sul punto, esclusivamente per governare le spese giudiziali. In tali ipotesi, il giudice dovrà delibare il fondamento della domanda provvedendo alla stregua del principio della cosiddetta “soccombenza virtuale o potenziale”: principio che identifica la parte soccombente con quella che, lasciando insoddisfatta una pretesa riconosciuta fondata ovvero azionando una pretesa poi riconosciuta infondata, o, in generale, attraverso il proprio comportamento processuale, abbia dato causa alla controversia.


RIFERIMENTI NORMATIVI
Cod. Civ. art. 1136
Cod. Civ. art. 1137
Cod. Civ. art. 2377
Cod. Proc. Civ. art. 91
Cod. Proc. Civ. art. 100

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©