Gestione Affitti

Affitti, la delega fiscale blinda la cedolare secca ma c’è il rebus inflazione

L’ultimo round di vertici politici sulla riforma fiscale mette al riparo la cedolare sugli affitti da possibili rincari d’imposta

di Cristiano Dell’Oste

L’ultimo round di vertici politici sulla riforma fiscale mette al riparo la cedolare sugli affitti da possibili rincari d’imposta. Ma per i proprietari è già il momento di interrogarsi sulle ricadute dell’inflazione, che secondo l’Istat ad aprile ha fatto segnare +6,2% su base annua (indice Nic, dati ancora provvisori).

La rimonta dei canoni concordati

La difficile trattativa sul testo della delega fiscale promette di lasciare inalterate le attuali aliquote del 21% (affitti di mercato) e del 10% (locazioni a canone concordato) in attesa di una «armonizzazione» ispirata alla «neutralità fiscale».

È un chiarimento non scontato, perché l’attuazione del “sistema duale” avrebbe comportato l’introduzione di un’unica aliquota su tutti i redditi derivanti dall’impiego del capitale, inclusi quelli immobiliari. Con conseguenze non banali. Ad esempio, allineando la flat tax sugli affitti al 26% attualmente applicato sulle rendite finanziarie, il suo peso sarebbe salito da 3 a 4,5 miliardi. Il calcolo è piuttosto semplice partendo dai 17,3 miliardi di canoni assoggettati alla cedolare secca nelle dichiarazioni dei redditi del 2021. Ma è bene precisare che un rincaro di questa portata è sempre rientrato nel campo delle ipotesi di scuola. Innanzitutto perché il Governo ha più volte assicurato che la riforma non comporterà aumenti delle imposte. Poi perché nel sistema duale l’aliquota delle imposte sostitutive dovrebbe essere vicina a quella del primo scaglione Irpef (non 26%, quindi, ma 23%, che corrisponde a un maggior gettito a un miliardo). E infine perché la cedolare al 10% sugli affitti concordati avrebbe comunque avuto un trattamento di riguardo in virtù della sua funzione sociale (il locatore accetta un canone inferiore in cambio di una riduzione del prelievo).

Oltretutto, le statistiche ufficiali mostrano che nell’anno più duro della pandemia – il 2020 – l’unica a essere cresciuta in termini di imponibile (+6%) è la cedolare sui canoni concordati, mentre quella sui canoni liberi è rimasta invariata. Il dato interessante è che, ogni 100 euro sottoposti alla flat tax, 49 sono a canone concordato. Insomma, tra rinegoziazioni e calo degli affitti di mercato, spesso è stata l’aliquota del 10% a tenere a galla le locazioni, contenendo il rischio dello sfitto e della morosità.

Aggiornamenti non automatici

Archiviato il rischio dei rincari, davanti ai locatori comincia a porsi il rebus dell’inflazione. L’indice Istat Foi – usato per le locazioni – a marzo ha fatto segnare +6,5% su base annua (ad aprile non è ancora stato elaborato).

Chi sceglie la cedolare deve rinunciare all’aggiornamento del canone per tutto il periodo dell’opzione. E per molti anni la questione – semplicemente – non si è posta. Bastava ricordarsi di inviare la raccomandata all’inquilino o di inserire la rinuncia all’aggiornamento del canone nel contratto. E adesso? I calcoli di convenienza vanno sempre fatti su base individuale, perché va valutata la presenza di eventuali detrazioni fiscali, che non possono essere “scaricate” dalla cedolare. Così, ad esempio, chi non è riuscito a vendere alla banca un bonus sulle ristrutturazioni potrebbe dover uscire dalla cedolare per azzerare l’Irpef con la detrazione.

In generale, si può calcolare che un’inflazione come quella attuale, per la maggioranza dei contribuenti non è sufficiente a rendere preferibile la tassazione ordinaria (Irpef, addizionale regionale e comunale, imposta di registro, bollo). Per chi applica la tassa piatta al 10% non c’è partita: conviene la cedolare. Per chi applica quella al 21%, invece, la questione si pone solo per chi ricade nel primo scaglione Irpef (reddito fino a 15mila euro): sono circa 425mila locatori, pari al 16% dei beneficiari della cedolare. Solo con un rincaro più robusto dei prezzi potrebbe essere coinvolto anche chi ricade nel secondo scaglione Irpef (reddito fino a 28mila euro), la cui aliquota è stata ridotta dal 27 al 25% da gennaio.

Attenzione, però, a confrontare l’Irpef applicata sul canone “aggiornato” con la cedolare sul canone senza inflazione. Per chi ha una locazione in corso già soggetta alla flat tax, infatti, la prassi delle Entrate pone limiti pesanti al recupero dell’inflazione dopo l’uscita dal regime della tassa piatta. Il che, d’altra parte, va a protezione dell’inquilino e può raffreddare la corsa dei prezzi, almeno nel settore delle locazioni abitative.

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