Gestione Affitti

Redditività alla prova di tasse e inflazione, difficile arrivare al 2%

di Saverio Fossati

Locazioni sul filo della redditività: con l’inflazione di ritorno e la prospettiva di aumento di aliquota della cedolare le prospettive si fanno sempre più funamboliche, soprattutto per i piccoli proprietari.

Prima di oggi

Sinora la cedolare al 21% (affitti liberi) e al 10% (contratti concordati), insieme all’inflazione sotto l’1 per cento, hanno dato una serie di certezze al locatore e hanno, in sostanza, calmierato il mercato per parecchi anni, consentendo una redditività che competeva con successo con le rendite finanziarie e i titoli di Stato. Proviamo a fare due conti: considerando una città medio-grande dove le locazioni abbiano mantenuto un buon livello (soprattutto le dieci città maggiori e le città sedi di università), un periodo di “sfittanza” di 1-3 mesi su otto anni (piuttosto ottimistico), spese di manutenzione straordinaria, cedolare del 21% e Imu, la redditività netta media annua per un immobile semicentrale di 80 metri quadrati commerciali (ampio bilocale o trilocale un po’ strettino) si aggirava, sino a oggi, tra il 2 e il 3 per cento. Se però ci spostiamo in periferia, dove gli affitti negli ultimi anni erano cresciuti proporzionalmente di più che in centro, si poteva arrivare anche al 4-5 per cento.

In città medio-piccole non universitarie non si raggiungeva praticamente mai il 2 per cento.

Qualora invece fosse stato firmato un contratto concordato (con cedolare al 10 per cento) le percentuali di redditività restavano quelle indicate solo se il canone fosse stato inferiore a quello di mercato di non oltre il 16 per cento.

Lo scenario futuro

Ma questo equilibrio sta per essere reso assai meno stabile a causa di diversi fattori: l’inflazione che potrebbe arrivare al 6 per cento e la revisione della cedolare sugli affitti di mercato che, seguendo quella sulle rendite finanziarie, potrebbe salire (anche se non subito) al 26% in base a indiscrezioni piuttosto confuse sul disegno di legge di delega fiscale. In questo caso estremo, se venisse conservato il divieto di aggiornamento del canone per chi sceglie la cedolare, si assisterebbe a una perdita complessiva dell’11% sul canone e la redditività scenderebbe inesorabilmente, restringendo sensibilmente sotto il 2 per cento, in molti casi, i ricavi netti del proprio investimento immobiliare. Soprattutto se la percentuale di partenza era tra il 2 e il 3 per cento.

Resisterebbe su livelli accettabili solo chi ha comprato l’immobile a prezzi molto ragionevoli (al punto più basso del ciclo immobiliare) e che quindi può contare su un affitto identico a quello che incassa chi invece lo ha acquistato a prezzi più salati.

Per i proprietari c’è ormai da sperare nell’incremento delle locazioni e dei valori, che però, stando ai dati qui a fianco, finiscono per non coprire l’inflazione prevista.

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